giovedì 10 marzo 2011

11 MARZO
SAN SOFRONIO
patriarca di Gerusalemme
(ca. 550-639)



Studi recenti hanno confermato che Sofronio, patriarca di Geru­salemme, è lo stesso Sofronio detto "il sofista", una delle persona­lità più interessanti dell'epoca, colto, di mentalità aperta e appas­sionato difensore dell'ortodossia.
Sofronio nacque a Damasco verso il 550. Sebbene avesse abban­donato la sua città natale molto giovane, vivendo prevalentemente altrove e viaggiando molto, pare sia sempre stato orgoglioso del suo luogo di origine, «dove Paolo arrivò cieco e da dove partì gua­rito, dove un persecutore in fuga divenne un predicatore; la città che diede rifugio all'apostolo e da cui fuggì in un cesto calato dal­la finestra, meritandosi così le grazie dei santi e acquistando una grande fama [...]». Sofronio studiò soprattutto a Damasco, dove venne istruito nella cultura greca e siriaca.

Voleva farsi monaco e fece visita alla laura di S. Teodosio in Giu­dea, dove incontrò Giovanni Mosco, con cui instaurò un legame di amicizia che sarebbe durato quarant'anni. È difficile valutare l'influenza che ebbero l'uno sull'altro: Sofronio era senza dubbio più colto, ma considerava Mosco la sua guida spirituale e il suo consigliere. Probabilmente ciò che li legava maggiormente era l'interesse che condividevano per l'integrità della fede come era stata enunciata in maniera definitiva dal concilio di Calcedonia. Iniziarono anche una collaborazione nel campo del "giornalismo monastico": Mosco era infatti desideroso di continuare le storie dei Padri del deserto a uso delle generazioni future. I contrasti nel mondo mediorientale spinsero i due amici da una regione all'altra e da un monastero all'altro. Tra il 578 e il 584 fu­rono in Egitto, dove Sofronio studiò sotto la guida dell'aristotelico Stefano di Alessandria, ed entrambi divennero amici di Teodoro il filosofo e Zoilo, un erudito calligrafo. Alcuni dei racconti di Mo­sco sono da attribuire al loro soggiorno in Egitto, ed è chiaro che Sofronio lo accompagnò nelle sue visite ai vari eremitaggi e mona­steri. In questo periodo probabilmente Sofronio iniziò a perdere la vista: dubitando di poter ottenere aiuto dai medici, visitò la tomba dei SS. Ciro e Giovanni (31 gen.) a Menuti e venne guarito. Scrisse in ringraziamento il racconto di settanta miracoli attribuiti a questi due santi, tra cui l'ultimo è proprio il suo. Dal 584 in poi è difficile ricostruire i movimenti dei due uomini. Sofronio divenne monaco nel monastero di S. Teodosio, come racconta nella sua opera sui miracoli dei Ss. Ciro e Giovanni, mentre Giovanni Mosco si ritirò per dieci anni in un monastero sul Sinai per poi visitare i monasteri della Cilicia e della Siria.
Quando i persiani iniziarono le loro incursioni nell'impero roma­no nel 604, Mosco si rifugiò ad Antiochia di Siria; lo ritroviamo poi insieme a Sofronio in Egitto, dove rimasero per dieci anni al servizio del patriarca di Alessandria, Giovanni l'Elemosiniere, no­minato nel 610, uno dei pochi vescovi calcedonesi in un paese a maggioranza monofisita.
I persiani occuparono i luoghi santi nel 614, dirigendosi verso l'Egitto. Giovanni l'Elemosiniere fuggì a Cipro insieme a Sofronio e a Giovanni Mosco, che visitarono anche le altre isole e infine de­cisero di partire per Roma. Là Giovanni si ammalò gravemente e consegnò i suoi manoscritti di aneddoti monastici, II prato spiri­tuale, a Sofronio, chiedendogli anche di essere seppellito sul mon­te Sinai o, se non fosse stato possibile, nel suo monastero di S. Teodosio in Palestina. Era l'anno 619.

L'imperarore Eraclio regnava da nove anni; aveva combattuto i persiani ma, come altri prima di lui, aveva compreso che l'impero non sarebbe sopravvissuto senza la pace religiosa. Con l'appoggio di Sergio, il patriarca di Costantinopoli, promosse il monotelismo, imponendolo nel 638 in tutto l'impero e minacciando in questo modo la dottrina calcedoniana, Sofronio reagì con vigore: nel 633 aveva già affrontato, anche se con scarsi risultati, Ciro di Alessan­dria, quando questi voleva attuare un'unione con i monofisiti sulla base del monoenergismo (dottrina secondo la quale vi è un'unica energia, una sola attività agente in Cristo). Si recò quindi a Co­stantinopoli per incontrare Sergio, ma non venne ricevuto.
Nel 634 Sofronio venne eletto patriarca di Gerusalemme, ruolo che gli permetteva di continuare la sua battaglia con maggior po­tere. Sergio sospettava che Sofronio volesse prendere contatti con Roma, così decise di presentare per primo le sue ragioni. Sfortunatamente papa Onorio prestò maggior attenzione a lui che a Sofronio, la cui lettera sinodale (che il nuovo patriarca mandava ai suoi vescovi per presentare le sue posizioni teologiche allo sco­po di ottenere una comunione stabile) arrivò tardi. Sergio però stava diventando, con sempre maggiore evidenza, eretico e Sofro­nio decise che era suo dovere intervenire nuovamente: avrebbe desiderato presentare la situazione di persona a Roma, ma la mi­naccia dei saraceni che stavano avanzando verso Gerusalemme lo dissuase.

Affidò quindi l'incarico a Stefano di Dora: lo condusse sul monte Calvario e là gli fece giurare che avrebbe fatto tutto il possibile. Stefano riferì ai padri del concilio Lateranense del 649 la volontà di Sofronio: «Là mi fece promettere con un giuramento solenne: "Se tu dimentichi o disprezzi la fede che ora è minacciata, dovrai rendere conto a colui che, sebbene Dio, fu crocifisso in questo santo luogo, quando nella sua prossima venuta Egli giudicherà i vivi e i morti.
Come tu sai, non posso compiere questo viaggio a causa dell'inva­sione dei saraceni [..,]. Vai senza indugio fino all'altra estremità della terra, alla sede apostolica, il fondamento dell'insegnamento ortodosso e dì ai santi uomini che sono là non una, non due, ma molte volte ciò che sta accadendo; dì loro tutta la verità e nulla più. Non esitare, domanda loro e pregali insistentemente di utiliz­zare la loro ispirata sapienza per emettere un giudizio definitivo e annientare questo nuovo insegnamento che ci è stato inflitto". Impressionato dal solenne appello che Sofronio aveva pronuncia­to in quel luogo santo e venerabile, e considerato il potere episco­pale che per grazia di Dio mi era stato conferito, partii subito per Roma. Sono qui davanti a voi per la terza volta, chino davanti alla sede apostolica implorando, come Sofronio e molti altri fecero, "venite in aiuto della fede cattolica minacciata"». Dopo un'attesa di dieci anni, Stefano alla fine vide l'eresia con­dannata da papa S. Martino I, allo stesso concilio Lateranense.

Sofronio scese a patti con i saraceni per evitare un massacro della popolazione e morì pochi mesi dopo. Oltre alla sua Vita dei marti­ri Ciro e Giovanni, ha lasciato diverse omelie, una splendida ora­zione per la benedizione dell'acqua nella festa del Battesimo del Signore e inni e cantici di grande bellezza. I suoi tropari per la set­timana santa sono la fonte degli Improperi che si recitano tuttora nella liturgia del Venerdì Santo.
                                                                     
Orazione
O Signore, tu hai fatto di Sofronio, vescovo di Gerusalemme, un difensore invitto della vera fede, tu ci hai radunati da tutte le nazioni per proclamare il tuo Nome: donaci di volere e di compiere ciò che desideri, sicché le nostre intelligenze siano guidate da un'unica fede e noi viviamo in un unico amore. Per il nostro Signore, Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

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