lunedì 18 luglio 2011



s. Macrina

Martirologio Romano:Nel monastero di Annesi lungo il fiume Iris
nel Ponto ancora in Turchia,
santa Macrina, vergine, sorella dei santi Basilio Magno,
Gregorio di Nissa e Pietro di Sivas,
che, versata nelle Sacre Scritture,
si ritirò a vita solitaria,
mirabile esempio di desiderio di Dio
e di distacco dalla vanità del mondo.
Preghiera di santa Macrina 
Signore, tu hai dissolto per noi la paura della morte, tu dai in deposito alla terra la terra che noi siamo, quella che tu stesso hai plasmato con le tue mani, e fai rivivere ciò che hai donato all'uomo, trasformando mediante l'immortalità e la bellezza quello che in noi è mortale e deforme.
Sei tu che ci hai strappati alla maledizione e al peccato, facendoti per noi l'una e l'altro.
Dio eterno, verso cui mi sono protesa fin dal seno di mia madre, te che la mia anima ha amato con tutte le sue forze, poni al mio fianco un angelo luminoso che mi conduca per mano dove si trova l'acqua del riposo, nel seno dei santi patriarchi!
Tu che hai spezzato la fiamma della spada di fuoco e hai restituito al paradiso l'uomo crocifisso con te e che si era affidato alla tua misericordia, ricordati anche di me nel tuo regno (Preghiera di Macrina in Gregorio di Nissa, Vita di santa Macrina 24).

Santa Macrina e la “vita angelica”

Santa Macrina (328.ca-379/80) nacque a Cesarea di Cappadocia (oggi Turchia) in una famiglia di Santi. I suoi genitori, Basilio ed Emmelia, godevano fama di santità in tutta la regione per le loro opere caritative e sono commemorati dalla Chiesa il 30 maggio. Dei loro dieci figli, cinque si consacrarono a Dio, tra i quali ricordiamo il celebre S. Basilio Magno e S. Gregorio, vescovo di Nissa, che, colmo di ammirazione per la sorella maggiore Macrina, scrisse di getto in greco la sua vita. È una biografia, che può dirsi storica, perché l’autore attinge alla sua personale esperienza, narrando i fatti di cui è stato testimone. La vita di S. Macrina è segnata dall’inizio da un intervento angelico: un’annunciazione fatta alla madre in sogno mentre la figlia primogenita stava per venire alla luce. Ecco come narra l’episodio il fratello Gregorio:

“[Ad Emmelia] pareva di portare tra le braccia la creatura ancora chiusa tra le [sue] viscere e che un Essere, di bellezza e figura superiori alle umane, le apparisse e salutasse la neonata col nome di Tecla, di quella Tecla che gode grande fama presso le vergini. Le sembrava che la visione, ripetuto tre volte il nome, la liberasse dai dolori del parto, e quindi svanisse”.

S. Gregorio allude qui a S. Tecla d’Iconio, della quale non abbiamo alcuna sicura notizia storica, ma il cui culto ebbe una straordinaria diffusione in Oriente.

Egli commenta:

“È mia opinione che l’Essere apparso [ad Emmelia] chiamasse la piccina Tecla non tanto per indurre la madre ad imporle questo nome – le fu dato infatti il nome della nonna – quanto per preannunziare quella che sarebbe stata la futura condotta di vita della neonata ed esprimere attraverso l’omonimia l’identità di propositi”.

Macrina fu allevata ed educata con amore dalla madre, che si preoccupò di darle un’istruzione seria e di iniziarla alla preghiera. La fanciulla amava specialmente il salmodiare che di giorno, nelle varie occupazioni, e di notte, “ovunque le era fedele, inseparabile compagno”.

Fu istruita nella Sacra Scrittura, nelle opere dei Padri della Chiesa ed anche nella dottrina dei filosofi greci.

Colta ed insieme abile nell’azione, S. Macrina aveva particolari attitudini pure per i lavori domestici, soprattutto – ricorda il biografo – per quello “della lana”.

Era avvenente e “nonostante la sua riservatezza, non riusciva a tenere nascosta la propria bellezza [tanto che sembrava] non fosse in tutta la patria terra – dichiara con enfasi il fratello – donna meravigliosa che potesse paragonarsi al fascino, alla leggiadria della sua persona”. Ovviamente “un grande sciame di pretendenti l’attorniava”; perciò il padre le scelse un marito, ma prima delle nozze il giovane morì. Macrina allora fece il fermo proposito di mantenersi vergine per Cristo. Morto il padre, “persuase la madre a rinunziare all’abituale esistenza molto agiata e ai servizi delle domestiche” e trasformò gradatamente la propria casa in asceterio, riunendo intorno a sé le proprie ancelle ed altre pie donne, vergini e vedove. Così tra il 355 e il 360 sorse ad Annesi un fiorente monastero, retto da regole di cui non abbiamo precise conoscenze, ma che dovevano ispirarsi a quelle raccolte dal fratello di Macrina, S. Basilio, l’ordinatore del monachesimo orientale, come S. Benedetto lo sarà, secoli dopo, del cenobitismo in Occidente. Preghiera e lavoro erano le colonne portanti di tutto l’edificio monastico. Il proposito di consacrazione verginale al Signore e la sua attuazione nella vita monastica fu ispirato a Macrina – possiamo chiederci – da quell’Essere di luce che alla sua nascita l’aveva preannunciata come un’emula di S. Tecla? Non lo sappiamo, ma è possibile. Gli Angeli, infatti, sono incaricati da Dio di venire in soccorso di “coloro che devono entrare in possesso della salvezza” (Eb 1, 14). Ora la via più sicura e più breve per raggiungere non solo la salvezza, ma la santità, è, per quanti vi sono chiamati, quella dei consigli evangelici nella vita religiosa e monastica.

La Comunità retta da Macrina, secondo la “descrizione” di S. Gregorio, aveva “un tenore di vita così bene disciplinato, così nobile l’ideale filosofico, cioè conforme ai precetti evangelici cui [le religiose] si informavano, così santo il comportamento sia di giorno sia di notte, che è impossibile trattarne a parola”.

Con ammirazione crescente il Santo biografo paragona la vita di queste monache a quella delle “anime libere dai corpi in seguito a morte… [tanto] la loro esistenza era distaccata dalle vanità terrene e regolata in modo da imitare la vita degli Angeli”.

Quindi S. Gregorio sottolinea i principali elementi di questo vivere non comune, tutto teso al conseguimento della perfezione evangelica, meta della vita monastica:

“Era orgoglio [di Macrina e delle sue compagne] la temperanza, loro gloria la vita oscura, loro ricchezza la povertà… Stimavano vero lavoro, e adeguato riposo dopo la fatica, l’esercizio delle cose divine, la continua preghiera, l’incessante salmodiare, equamente ripartito nel corso del giorno tra le ore diurne e le notturne”.

“Era un’esistenza, conclude l’autore, sospesa a mezzo tra l’umana natura e l’angelica. [Quelle monache] erano da una parte superiori alla natura terrena, in quanto libere dagli affetti mondani, dall’altra, per il loro manifestarsi in forma umana, per l’essere racchiuse nei corpi e dotate di sensi, erano inferiori alla natura angelica, immateriale. Forse qualcuno non privo di audacia, potrebbe dire che neppure fossero ad esso, inferiori. Infatti vivevano nella carne, eppure non erano appesantite dal corpo: lievi, levandosi in alto, spaziavano per il firmamento in compagnia degli Angeli”.

Queste affermazioni possono sembrare iperboliche, ma bene chiarificano ed evidenziano l’ideale della vita anacoretica e cenobitica, com’è sempre stato inteso dalla Chiesa fin dai primordi, anche se non sempre vissuto con l’intensità e la perfezione delle monache di Annesi. È la condizione di vita che più d’ogni altra assimila agli Angeli, perché nel distacco assoluto dalle cose materiali, e nella continua tensione verso le realtà celesti imita, sulla terra, il vivere degli Incorporei ed è già un’anticipazione della vita eterna. La Chiesa nel passato, tramite Papi, Concili, vescovi e dottori l’ha sempre considerata così e proclamata quale “vita angelica”. Pio XII, parlando della vocazione alla vita monastica, l’ha definita: “Angelica Vocatio”.

Il Concilio Vaticano II, invece, preferisce mettere l’accento, non sull’angelicità, ma sulla “misteriosa fecondità apostolica della vita contemplativa”, che “pur nell’urgente necessità di apostolato attivo, conserva sempre un posto assai eminente nel Corpo mistico di Cristo”.

Quando il fratello Gregorio poté effettuare – com’egli stesso riferisce – il suo “vivo desiderio” di visitare Macrina, che “realizzava ad Annesi un tenore di vita angelico, celeste, [questa] era in preda a grave morbo”. Fu introdotto nella cella di lei che giaceva “a terra su di una tavola ricoperta di un sacco” ed ebbero insieme alcuni colloqui. “Nel corso della conversazione – ricorda il Santo – accennammo al grande Basilio” [il comune fratello, vescovo di Cesarea, morto recentemente] e Macrina per consolare il dolore manifestato da Gregorio, “tenne elevati discorsi sulla natura umana, sulla divina Provvidenza, che si cela nelle avversità di questo mondo, sulla vita futura. Argomenti tutti che trattava quasi pervasa dallo Spirito Santo”. Intanto la sua malattia progrediva, “la febbre le consumava le forze… [ma essa] aveva libera la mente, completamente assorbita nelle cose divine, niente affatto menomata dal male tanto grave”.

Il giorno seguente – aveva trascorso la notte in preghiera – “non dava segni di turbamento nell’imminenza del trapasso, di timore per il distacco dalla vita. Con mente sublime fino all’ultimo si intratteneva in dotte riflessioni su quelli che erano sempre stati i suoi convincimenti circa l’esistenza terrena. Appariva assolutamente estranea alle cose del mondo”. Gregorio, che pure aveva una profonda conoscenza delle realtà spirituali ed era fecondo scrittore tanto da essere poi annoverato tra i Padri della Chiesa, rimase stupito ed “entusiasta innanzi allo spettacolo che si offriva ai [suoi] occhi”. Gli sembrava che la sorella moribonda avesse “varcato i confini della natura umana”. E la paragonava ad un “Angelo che avesse assunto forma umana”, spiegando:

“Niente di inverosimile che un Angelo, la cui natura non ha alcun rapporto, alcuna affinità con l’umana, fosse imperturbabile, non avendo la carne il potere di trascinarlo alle passioni che sono di essa peculiari…”. Macrina “manifestava chiaramente il desiderio di raggiungere l’Amato per essere con Lui, libera dai vincoli corporei”. Così trascorse il suo ultimo giorno di vita. “Il sole volgeva ormai al tramonto… l’inferma aveva cessato di conversare con i presenti [e] rivolgeva a Dio soltanto la parola”.

Il santo biografo riporta la preghiera che sgorgò allora spontanea dal cuore di Macrina morente: una preghiera ardente e fiduciosa, intessuta di reminiscenze scritturistiche, testimonianza sicura del suo quotidiano meditare la parola di Dio.

Nella seconda parte di questa supplica, Macrina, dopo avere ricordato che era stata “consacrata” a Dio alla nascita ed a Lui aveva dedicata tutta se stessa, amandolo “con tutte le forze fino dalla giovinezza”, giunta ora all’estremo momento, così prega:

“O Dio eterno…
ponimi accanto il fido Angelo
che mi guidi verso il luogo del refrigerio,
dov’è l’acqua della quiete,
nel grembo dei santi Padri”.

L’invocazione degli Angeli, guide delle anime al giudizio divino, è consueta, cara alla Chiesa, che l’ha inserita nelle preghiere liturgiche per i moribondi. Accompagnata dal celeste Custode, Macrina si prepara a comparire davanti al suo Signore, ricordandogli: “…anch’io fui crocifissa con te, inchiodando le mie carni per timore di te…”.

La “vita angelica”, vissuta come la visse S. Macrina, è, infatti, una crocifissione, un martirio prolungato, una testimonianza perfetta di fede e d’amore per Dio e per i fratelli.


A cura del Monastero “Carmelo S. Giuseppe” Locarno - Monti

(da “Michael – Bollettino del Santuario del Gargano”, novembre/dicembre 2008)



19 LUGLIO
SANTA MACRINA
(327-380),
      monaca

Nessun commento:

Posta un commento