domenica 9 settembre 2012

diavolo

Daemones effugate

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Non è una battuta se scrivo che noi siamo tutti degli esorcisti. A ben badare l’esorcismo sappiamo che cos’è, eccome. Tra i tanti esorcismi che compiamo nella nostra vita ce ne è uno: noi esorcizziamo spessissimo il tempo, lo facciamo ogni volta che lo percepiamo maledetto. Il tempo contiene in sé la maledizione del suo rapido consumarsi; esso ci mangia.
Allora va ingannato. Al dio Kronos va messo una pietra in bocca.
Riempiamo il tempo di chiasso, di appuntamenti, di impegni, di sport, di lavoro, di progetti,…
Il gelo ci morde la pelle e allora indossiamo una maglia, due, una felpa, una giacca a vento,…
Chi beve, chi si droga o va a donne, o più semplicemente col gesto di telefonare o di accendere la televisione, in fondo non fa che scacciare la maledizione del tempo inebriandosi.
Sappiamo che sono rimedi da nulla, anzi, subito dopo il vuoto e la sottile presa di coscienza ci mordono più di prima.

Ma il vero esorcismo, quello efficace, davvero liberatorio, non è questo. Ma è quando riesce a scacciare, liberare, togliere i ceppi e buttar via le zavorre e i legacci. È quando riesce a cacciare i nostri demoni.
Gesù è venuto per questo. Egli manda i discepoli nel mondo a predicare il Vangelo e a cacciare i demoni. Mica a organizzare le gite parrocchiali e le partite di pallone. Quello caso mai viene dopo.
Noi i demoni ne abbiamo tanti. Tutti ne abbiamo tanti, a partire da me. Non c’è nessuna persona, dal più piccolo battezzato al Papa, che sia o sarà tanto buona da non avere demoni contro cui combattere.
Perché mi chiami buono, dice Gesù al giovane ricco, non sai che solo Dio è buono?
E allora come si cacciano i demoni? Come cacciare quell’orgoglio che ci spinge a giudizi durissimi e ci impedisce il perdono; come cacciare l’avarizia e l’accidia che ci spingono in uno sciopero perenne e a non amare nessuno che non sia la propria comodità? Come liberarci da Malacoda?
Tutti i Vangeli ce lo insegnano. Prima di tutto con la preghiera e il digiuno. Poi con esercizi precisi: togliere l’occhio che fa entrare il male nel cuore; tagliare la mano che vorrebbe allungarsi, come quella di Eva, a prendere quello che il Signore non ci ha dato; strapparci il piede che ci conduce in un’ambiente che è occasione di peccato. La Chiesa chiama questi esercizi “mortificazioni”. Occorre mortificarci, cioè dar morte a quello che ci separa dal Signore. Qui non si tratta di trattare male quello che in noi varrebbe di meno, e cioè il corpo. Questa è un’idea greca che stava prendendo piede nel cristianesimo. L’Aquinate la placcò con tutta la sua possanza, rendendoci il dono di diventare più cristiani di prima.
Non si tratta di castigare il corpo o di soffrire per guadagnare chissà che meriti; si tratta invece di togliere gli ostacoli alla pienezza, alla felicità di una vita realizzata con Dio, con tutti i nostri sensi.
Ma i nostri compiti, si fa per dire, non finiscono con l’esorcismo, col cacciare i demoni. Una volta liberato il nostro cuore esso resterebbe vuoto, deserto. E allora ecco una legione intera di demoni tornare all’assalto; essi entrano nella casa lasciata vuota e trovandola libera e spazzata, vi ci piantano l’accampamento così da rendere la situazione peggiore della precedente.
Dopo l’esorcismo, sempre la Chiesa invoca e dona lo Spirito Santo. Egli effonde nel cuore la vita di Cristo, la sua carità, il suo modo di intendere e di agire. Guai ottenere la libertà da un demone e poi restar lì a ciondolare: senza preghiera, senza sacramenti, senza Parola di Dio.
Via quel demone, ne arrivano altri venti. E peggiori.
L’esorcismo è necessario, ma come primo tempo del film.
Poi c’è sempre il secondo tempo. Per i rugbisti anche il terzo.

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