martedì 6 novembre 2012

arte sacra

"Che brutta l'architettura sacra contemporanea"

Intervista con il critico d'arte Vittorio Sgarbi
Giacomo GaleazziCittà del Vaticano
 

Vittorio Sgarbi"Meglio una capanna delle cattedrali contemporanee. Il modello è Joseph Ratzinger". Il critico e storico dell’arte, Vittorio Sgarbi punta l'indice contro la "pessima architettura sacra" che "allontana i credenti invece di avvicinarli alla fede".
Cosa non le piace nelle chiese degli archistar?
"Ho lavorato con mons. C. Chenis alla straordinaria ristrutturazione dellla cattedrale di Noto. Quella è grande architettura sacra, non il delirio di onnipotenza di quasi tutti gli architetti contemporanei che dagli anni Settanta in poi seminano bruttezza. Sono credente e ho sempre considerato la religione cristiana il fondamento della nostra civiltà, perciò non posso restare in silenzio davanti all'eliminazione dal punto di vista morfologico di elementi costitutivi per quindici secoli degli edifici sacri quali la cupola e la volta. Elementi-simbolo del paradiso".

Qual è l'assenza che lei denuncia?
"E' l'assenza di quelle forme che portano il cielo nello spazio della chiesa. Nella pittura e nell'architettura manca il richiamo alla dimensione celeste. La colpa è delle prevaricazioni formali e del narcisismo di archietti che pensano in questo modo di superare le tipologie tradizionali. Ne è una dimostrazione terrificante la chiesa costruita a Foligno da Massimilano Fuksas. Dovendo fare architetture nuove, non rispondono a richieste di necessità formali. Tranne Mario Motta tutti gli altri architetti si sono arrampicati su strutture prive di senso. Chi visita la cattedrale di Siracusa, per esempio, resta sconcertato dal delirio di onnipotenza, dall'esaltazione dionisiaca dell'architetto. E' meglio qualunque capanna"

Di chi è la colpa?
"Dell'ateismo degli architetti contemporanei. A differenza di ciò ch è accaduto per mille e cinquecento anni, non sono in grado di trasformare il valore spirituale in valore formale. Non riescono a farlo perché non hanno fede. Bisogna approfondire in che modo gli artisti contemporanei percepiscono il rapporto con il divino. Dobbiamo capire da dove nasce la difficoltà di rappresentare oggi i temi della cristianità che per secoli sono stati la prima fonte di ispirazione artistica. Eppure l’artista non è un semplice mediatore o strumento della volontà di Dio ma divinità egli stesso, in quanto creatore dell’opera d’arte, non è uno sciamano  ma riesce ad essere Dio stesso. L’artista è Dio, e in quanto Dio egli manifesta la divinità immanente, la divinità che cammina per strada".

Quindi senza fede non c'è arte sacra?
"Ho focalizzato l'attenzione da tempo sulle prove realizzate da architetti, pittori e scultori, mettendone in luce limiti e slanci per scoprire che l'"ombra del divino" è la condizione in cui gli artisti si muovono quando si confrontano con il sacro. La decorazione per la cattedrale di Noto, ricostruita dopo il crollo del 1996, ha rappresentato l'occasione per tornare a parlare di arte sacra in un'epoca che sembra aver rinunciato al cielo. Ricordando la condizione privilegiata dell'artista, va indicata la strada per ripensare al divino come impulso vitale per l'arte contemporanea, punto di partenza e suo compimento".

Come porvi rimedio?
"Deve tornare centrale nel dibattito culturale il legame imprescindibile tra arte, bellezza e ricerca del significato ultimo dell’esistenza umana. Mi rendo conto che è un dibattito in netta controtendenza con il pensiero dominante dei nostri giorni, che vorrebbe ridurre l’arte a fonte di emozioni forti e sensazioni scioccanti. Ritengo, invece, che nell’esperienza artistica vi sia un percorso di conoscenza, una via privilegiata per accostarsi al divino. Il modello da seguire è la “teologia della liturgia” di Benedetto XVI. Così va reimpostato il rapporto tra architettura sacra e fede nel contemporaneo, Ovviamente il ruolo della bellezza non è patrimonio esclusivo dell’arte figurativa ma insita anche nell’astratto (dove esprime «l’idea assoluta di un Dio che è dentro di noi»), però bisogna riconsiderare la figura dell’artista in relazione al divino".

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