martedì 2 luglio 2013

satana

Ecco perché papa Francesco ce l’ha così tanto col diavolo (e con chi ne nega l’esistenza)

                                  
maggio 4, 2013 Inos Biffi
Inos Biffi svela l’identità di Satana, la presenza inquietante che insidia l’uomo sin dalla creazione. E che ora certi teologi non esitano a snobbare, «banalizzando la stessa opera di Cristo e la sua redenzione»

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Inos Biffi per l’Osservatore Romano – Dopo che è apparso l’uomo, opera del sesto giorno della creazione, si avverte la presenza di qualcosa di misterioso e di inquietante, quella del serpente. Quello che intraprende presso i progenitori e che si ripromette di ottenere da loro stupisce e sconcerta: si propone di insinuare in essi il sospetto nei confronti di Dio, di persuaderli cioè che i divieti da lui posti provengono da una sua gelosia, da un suo timore di essere equiparato da loro. Il serpente incarna, proprio all’inizio del mondo e della sua storia, la presenza di un essere invidioso: «Per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo» (Sapienza, 2, 24). Nel Nuovo Testamento si torna spesso su quel serpente. Gesù vi si riferisce dichiarando che il diavolo è «omicida fin da principio»; in lui «non c’è verità»; «quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna» (Giovanni, 8, 44). E ancora Gesù lo definisce «Principe di questo mondo» (Giovanni, 12, 31; 16, 11).
Paolo afferma che «con la sua astuzia il serpente sedusse Eva» (2 Corinzi, 11, 3): e accenna a chi si perde «dietro a Satana» (1 Timoteo, 5, 14). Lo stesso apostolo parla del vivere mondano con cui si segue «il principe delle Potenze dell’aria, quello spirito che opera negli uomini ribelli» (Efesini, 2, 2); fa menzione delle «insidie del diavolo» e della nostra battaglia «contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male» (Efesini, 6, 12).
La prima Lettera di Pietro nomina il «nemico», «il diavolo», o l’«accusatore», che «come un leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (5, 8). E nelle Lettere di Giovanni è ricordato «l’anticristo» che deve venire (1 Giovanni, 2, 18); il «bugiardo» che nega che Gesù è il Cristo; l’«anticristo» che «nega il Padre e il Figlio» (2, 22). Nell’Apocalisse è scritto: «Scoppiò una grande guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu posto per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli» (12, 7-9).
Tra questi testi e l’esegesi di Gesù sul diavolo, omicida e menzognero dal principio, l’accordo è perfetto: si tratta di un essere ostile a Dio, del quale mira a sconvolgere la Parola, e insieme ostile all’uomo che si propone di sedurre e di indurre a ribellarsi al disegno divino. È il maligno. In particolare, l’accordo esegetico riguarda Colui al quale il diavolo riserva la sua avversione, cioè Gesù Cristo. Sono poste così in antitesi due regalità: quella di Gesù e quella del Principe di questo mondo. Il demonio non può tollerare Gesù Cristo e in tutti i modi cerca di intralciare l’eterno piano divino concepito su di lui. Così nel deserto. Ma Gesù si proclama vincitore di questo principe: «Viene — dichiara — il principe del mondo; egli contro di me non può nulla» (Giovanni, 14, 30); precisamente, è al sopraggiungere dell’ora di Gesù, quella del suo innalzamento sulla croce e alla destra del Padre, che quel principe viene abbattuto: «Adesso è il giudizio di questo mondo; adesso il principe di questo mondo sarà gettato giù». Con l’effusione dello Spirito dal Signore glorificato quel principe trova la sua condanna (Giovanni, 16, 11). Specialmente Paolo rimarca la signoria del Risorto: in lui il Padre «ci ha liberati dal potere delle tenebre» (Colossesi, 1, 13) e «ha privato della loro forza i Principati e le Potenze», e «ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo» (2, 15).
Il cristiano è divenuto partecipe della signoria di Gesù sul demonio: «da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo (…) Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù» (Efesini, 2, 5-6).
Pur definitivamente vinto dal Signore, il demonio tenta ancora di insidiare e di far cadere l’uomo redento. Per questo occorre essere vigilanti. Pietro parlava del suo ruggito e della sua non spenta volontà di nuocere; Paolo esorta ad afferrare lo scudo della fede, con cui spegnere «frecce infocate del Maligno» (Efesini, 6, 16). E Gesù stesso aveva insegnato a pregare chiedendo al Padre di liberarci dal Maligno (Matteo, 5, 13).
 
 
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Le molteplici esegesi sul serpente che appare alle origini ci inducono ad alcune considerazioni. La prima: sulla “storia” consumata e decisa prima della creazione dell’uomo, e consistita nello scoppio di «grande guerra nel cielo» (Apocalisse, 12, 7), ossia in un consenso o in una ribellione avvenuti nel mondo angelico: un consenso o una ribellione non generici ma mirati al concreto ed eterno progetto divino, che è personalmente Gesù Cristo. L’orgogliosa insofferenza degli angeli ribelli ha come oggetto Gesù, il «Primeggiante su tutte le cose», e quindi primeggiante anche su di loro. Si capisce, allora, come mai la vita di Gesù sia intralciata dalla presenza e dalle macchinazioni del diavolo; e all’opposto — dall’annunzio della sua nascita fino all’ascensione — sia accompagnata, servita e consolata dalla presenza degli angeli, che gioiscono di lui, e con lui sono vincitori del grande drago e dei suoi satelliti, scacciati dal cielo e precipitati, come affermava l’Apocalisse. Gesù stesso affermava d’aver visto «Satana cadere dal cielo come una folgore» (Luca, 10, 18) e parlava del «fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Matteo, 25, 41).
Abbiamo parlato di storia che precede quella visibile dell’uomo: quel che noi conosciamo è quanto affiora come da un panorama nascosto, che ci oltrepassa e ci sfugge e che adesso possiamo solo presumere e intuire.
La seconda considerazione riguarda il potere impressionante di Satana: esso è così forte e tenace che soltanto la forza del Figlio di Dio lo può piegare e sgominare; anzi, la forza del Figlio di Dio confitto alla croce, e quindi in una condizione di un’estrema debolezza umana, che paradossalmente diviene senza fatica potenza assoluta. Il diavolo riesce a coinvolgere tutto e tutti, ma di fronte a Gesù risulta affatto soccombente. Il Crocifisso risorto ricrea un’umanità vincitrice, sottratta all’influsso perverso del Maligno. All’attrattiva del dominio subentra l’attrattiva di Cristo, che dichiara: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Giovanni, 12, 32). Solo condividendo il vigore di Gesù morto e glorioso noi riusciamo a opporci alla lusinga del Serpente delle origini.
Potrebbe tuttavia rimanere una domanda: senza dubbio la caduta dell’angelo e dell’uomo dipende unicamente dalla libera volontà della creatura; non solo: il perdono dell’uomo era incluso nell’amore misericordioso del Padre, che predestinava il Figlio Gesù redentore; ma perché l’ordine concreto scelto da Dio include quella caduta e quindi la realtà del peccato? A questo non siamo in grado di rispondere: appartiene al «pensiero del Signore», ai suoi «insondabili giudizi» e alle sue «inaccessibili vie» (Romani, 11, 32-34).
Una terza considerazione, per manifestare la sorpresa di fronte all’assenza nella predicazione e nella catechesi della verità relativa al demonio. Per non dire di quei teologi, che, per un verso, applaudono che finalmente il Vaticano II abbia dichiarato la Scrittura «anima della sacra teologia» (Dei verbum, 24) e, per l’altro, non esitano — se non a deciderne l’inesistenza (come fanno per gli angeli) — comunque a trascurare come marginale un dato, lo abbiamo visto, chiarissimo e largamente attestato nella stessa Scrittura, com’è quello relativo al demonio, ritenendolo la personificazione di un’oscura e primordiale idea di male, ormai demitizzabile e inaccettabile. Una simile concezione è un capolavoro di ideologia e soprattutto equivale a banalizzare la stessa opera di Cristo e la sua redenzione. Ecco perché ci sembrano tutt’altro che secondari i richiami al demonio, che riscontriamo nei discorsi di Papa Francesco.


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