mercoledì 4 settembre 2013

vocazioni

cardinale Piacenza: “Un vescovo che non ha vocazioni deve pregare di più”



Il cardinale Piacenza ai formatori dei Seminari maggiori spagnoli, a vent'anni dalla “Pastores dabo vobis” di Giovanni Paolo II: “Un vescovo che non ha vocazioni deve pregare di più”

DOMENICO AGASSO JRROMA

Il problema non è la “presunta” mancanza di vocazioni, ma è la fede. Non lascia spazio a dubbi il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, nel suo intervento odierno a Madrid all'”Incontro con i Formatori dei Seminari Maggiori della Spagna nel XX Anniversario di pubblicazione dell’Esortazione Apostolica post-sinodale 'Pastores dabo vobis'” del prossimo santo Giovanni Paolo II.


Essa “è il frutto maturo del Sinodo, voluto dal beato Giovanni Paolo II, sul tema fondamentale per la Chiesa e per il mondo delle vocazioni sacerdotali”, ha ricordato card. Piacenza. “In questo Anno della Fede, che ormai volge al suo termine, non possiamo non considerare come la “Pastores dabo vobis” abbia avuto il grande merito di indicare, con chiarezza, gli ambiti imprescindibili della formazione sacerdotale, legandoli alla vita concreta delle comunità: sia della comunità del Seminario, sia delle concrete comunità cristiane di provenienza e di servizio dei seminaristi”.


“Se venti anni, nella storia della Chiesa, possono, giustamente, sembrare ben poca cosa – ha detto - è tuttavia necessario riconoscere come, nelle società contemporanee, così pesantemente caratterizzate da una velocità di comunicazione e da una rapidità di cambiamenti, mai sperimentati prima dall’uomo, due decenni possono anche essere paragonati a 'due secoli'”; basta “pensare all’uso che i candidati al sacerdozio di oggi fanno dei mezzi di comunicazione e alla disinvoltura con la quale, attraverso di essi, è possibile entrare in contatto con persone e realtà, inimmaginabile venti anni or sono”.


E il Presule ha tenuto a precisare un aspetto che ritiene “assolutamente imprescindibile” oggi come allora: “Il rapporto tra fede e Vocazione”. “Dobbiamo – ha affermato - come pastori e come responsabili della formazione, in piena coerenza con quanto indicato, vent’anni or sono, dalla “Pastores dabo vobis”, riconoscere che il problema non è la 'presunta mancanza di vocazioni', ma il problema è e rimane la fede! La fede delle famiglie, la fede delle comunità cristiane, la fede dei pastori, l’ardore missionario che deve conseguire a tale fede!”.

È così “va interpretato” l'insegnamento dell'esortazione apostolica del Papa polacco, e anche “il salutare richiamo che, costantemente, il Santo Padre Francesco rivolge a tutta la Chiesa, sottolineando sia l’imprescindibile rapporto tra 'il pastore e le sue pecore', cioè tra il sacerdote e la comunità credente, dalla quale egli proviene e alla quale è mandato, sia il necessario primato della vita spirituale, che lega il sacerdote a Dio e, perciò, lo pone al servizio del popolo”.
Card. Piacenza ha proseguito precisando che “dalla natura sacramentale della Chiesa e dall’insurrogabilità del sacerdozio ministeriale, come vocazione soprannaturale rivolta da Dio all’uomo, deriva il primato assoluto della preghiera nella pastorale vocazionale”. Per preghiera intende “la preghiera personale per le vocazioni: un vescovo, che non ha vocazioni, deve chiedersi quante ore al giorno prega per averle! Un rettore, che non ha vocazioni deve fare lo stesso”.


E “accanto alla preghiera personale è necessario animare la preghiera comunitaria per le vocazioni e non solo - come spesso si sente dire - per sensibilizzare il popolo di Dio e i giovani (perché questo sembrerebbe uno spot pubblicitario e Francesco ha avuto parole inequivocabili nello stigmatizzare questa tentazione) - ma per la fede granitica che dobbiamo avere nella forza della preghiera e nella forza dirompente della preghiera comunitaria”.
Il Prelato si è poi soffermato sulla fragilità affettiva che spesso colpisce l'uomo e in particolare i giovani: “In questo senso, è necessario che, alla clamorosa fragilità affettiva, di fronte alla quale ci troviamo, si risponda con una proposta formativa radicale, teologicamente fondata in una compiuta cristologia e in una conseguente chiara e luminosa ecclesiologia”. E “il celibato non è – sottolinea - in alcun caso, il 'prezzo da pagare' per diventare funzionari di un’organizzazione non governativa, condannata a estinguersi! Esso, al contrario, è 'imitatio Christi'; è la prosecuzione, nel tempo e nella storia, di quella apostolica vivendi forma, il modo di vita degli apostoli, che ha caratterizzato la Chiesa primitiva: stretti intorno a Gesù, totalmente relativi a Lui e, perciò, autenticamente testimoni e missionari”.

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