venerdì 22 novembre 2013

il vostro nemico: il Diavolo

DEMONOLOGIA: «DAVANTI AD UN'ANIMA FORTE, IL DIAVOLO TREMA»




L'esistenza dei demoni. 
Che vi siano degli spiriti malefici chiamati demoni, è cosa attestata dalla Sacra Scrittura e riconosciuta da tutti i popoli. I pagani credevano nell'esistenza di geni, gli uni buoni, gli altri cattivi; e ne concludevano che bisognava accattivarsi l’affezione dei buoni con riverenze, offerte, preghiere; placare la vendetta e la malignità dei cattivi con sacrifici. Quindi l’idolatria, il politeismo, le pratiche superstiziose, la magia, la divinazione, ecc. La stessa cosa credettero pure i filosofi pagani. La Rivelazione è venuta ad illuminarci sull’esistenza dei demoni, Mosè ci dice che la prima donna fu tratta a disobbedire a Dio da un perfido nemico camuffato sotto la forma di serpente (Gen. III, 4). Nel Deuteronomio si narra che gli israeliti immolarono i loro figli agli spiriti malefici e cattivi (XXXII, 17); il Salmista conferma il medesimo fatto con quelle parole «Imolaverunt filios suos et Alias sua daemoniis» (CV, 35). Anche Gesù Cristo parlò dell’esistenza dei demoni, anzi sappiamo che li cacciava dal corpo degli ossessi. Il medesimo linguaggio tennero gli apostoli, e l’esistenza dei demoni forma un dogma della Chiesa cattolica.

Che cosa sono i demoni. Nel Nuovo Testamento, il nome di dèmone o demonio è sempre adoperato in cattivo senso e significa uno spirito malvagio, nemico di Dio e degli uomini. Nel principio della creazione Dio trasse dal nulla gli angeli, come tutto il resto. Li fece buoni, perché sta scritto che tutte le cose che Dio ha fatte erano assai buone: — «Erant valde bona» — e Dio non può essere l’autore di cosa cattiva. La Scrittura c’insegna che dall’istante della loro creazione tutti gli angeli, che erano quasi innumerabili, si trovarono collocati in cielo. Da essa sappiamo ancora che molti di essi si ribellarono al Creatore e in punizione del loro misfatto furono condannati a eterni supplizi; a questi ultimi la Scrittura dà il nome di demoni. L’altra parte degli angeli si mantenne fedele a Dio e fu confermata nella grazia. Di loro natura gli angeli sono spiriti intelligenti, attivi, immortali, immateriali, destinati a vivere nella contemplazione di Dio. Gli angeli sono le creature che più si avvicinano alla maestà divina, infinita in perfezioni. Dio li ha creati per formarne la sua corte ed è certo ch’Egli sparse a larga mano su queste belle intelligenze tutti quei doni naturali di cui noi abbiamo ricevuto una piccola parte. Cadendo, nulla perdettero gli angeli ribelli della loro natura, agilità, spiritualità e vasta intelligenza, ma perdettero l’innocenza, la bellezza e la felicità. Sotto questo aspetto hanno perduto tutto.

E che cosa diventarono questi angeli decaduti? Udite la risposta di S. Agostino: «Il diavolo è il dottore della menzogna, l’avversario del genere umano, l’inventore della morte, il maestro in orgoglio, la radice della malvagità, l’autore dei delitti, il principe di tutti i vizi, l’istigatore dei vergognosi piaceri. Che cosa vi è di più perverso, di più corrotto, di più malvagio che il nostro avversario?». La Sapienza così descrive i demoni: «Sono mostri non mai più veduti, pieni d’inaudito furore, spiranti fiamme e odore di fumo, raggianti dagli occhi orribili scintille; non solamente possono uccidere col ferire, ma la sola loro vista può dare la morte per lo spavento». Gesù Cristo e gli apostoli attribuiscono ai demoni i più grandi delitti, quali l’incredulità dei giudei, il tradimento di Giuda, l'accecamento dei pagani, le malattie crudeli e le ossessioni. Chiamano Satana, il padre della bugia, il re di questo mondo, il principe dell’aria, l'antico Serpente, il diavolo. Negli esorcismi il demonio è detto spirito immondo, infelicissimo tentatore, ingannatore, padre della menzogna e delle eresie, feroce serpente, autore dell’impudicizia, stupido, insensato, devastatore, schifoso, effeminato, avvelenatore, mostro dei mostri, cacciato dal paradiso, dalla grazia di Dio, dal soggiorno della felicità, dall’assemblea e società dei santi, creatura riprovata e maledetta da Dio per tutta l’eternità, orgoglioso, infame, pieno di scelleratezza, di abominazione, di bestemmie, coperto di maledizione, carico di scomuniche e meritevole del fuoco infernale. Ecco i nomi e i titoli che la Chiesa dà al demonio apostrofandolo negli esorcismi. Da questi possiamo giudicare chi è.

Cause della caduta dei demoni. Tertulliano, S. Basilio, S. Cipriano, S. Bernardo, Ruperto abate, il Suarez, seguiti da buon numero di teologi, ritengono come probabile che il peccato commesso da Lucifero in cielo, per cui fu condotto all’orgoglio, ebbe origine dall'invidia che provò quando Dio gli rivelò che il Figliuolo suo, Gesù, si sarebbe fatto uomo e gli intimò di sottomettersi a Gesù Cristo incarnato. Fu geloso che il Figliuolo di Dio assumesse la natura umana e non seppe rassegnarsi che fosse preferito l’uomo a lui, il più nobile, il più bello, il più intelligente degli angeli; gli parve intollerabile quell’unione ipostatica dell’uomo col  Verbo; desiderò che tale unione avesse luogo con lui e ricusò di riconoscere per suo superiore un uomo fatto Dio per l’incarnazione. Non avendo voluto Dio accondiscendere ai suoi propositi, Lucifero si ribellò a lui ed a Gesù Cristo e consigliò gli angeli di seguirlo nella sua rivolta. Nella sua lettera agli Ebrei pare che S. Paolo favorisca quest’opinione in quelle parole: «Quando Dio introdusse nel mondo il suo primogenito, disse: E lo adorino lutti gli angeli di Dio» (I, 6). La parte degli angeli che adorò i «secreti divini» si sottomise al volere di Dio, riconobbe Gesù Cristo fatto uomo per suo Signore e non solo fu mantenuta nella felice sua condizione, ma fu innalzata nel più alto dei cieli e confermata nella grazia.

L’orgoglio fece cadere l’angelo. Che per i suoi splendori è paragonato alla stella del mattino. «Come mai sei tu caduto dal cielo, o Lucifero, esclama Isaia: tu astro brillante, figlio dell'aurora, come mai precipitasti in terra?» (XIV, 12). Come ti sei tu cambiato in tenebre, o Lucifero? Come mai sei precipitato dal più alto grado al più basso, dalla gloria nell’ignominia, dalla vita nella morte, dal cielo all’inferno? Il capo degli angeli ribelli si chiama Lucifero, perché splendeva di grazia e di gloria nel cielo, come splende di più viva luce la stella che si chiama Lucifero o portatrice di luce. Nel senso mistico poi, questo significa che la caduta di Lucifero avvenne nell’aurora, ossia all'inizio stesso della creazione del mondo. Lucifero, continua Isaia, «tu dicevi in cuor tuo: Ascenderò sui cieli, e su gli astri di Dio poserò il mio trono; m’innalzerò al di sopra delle nubi, e sarò simile all’Altissimo » (Is. XIV, 13-4). Come sei tu caduto? tu che eri il sigillo della somiglianza: cioè tu eri di una bellezza perfetta e pieno di sapienza; creato tra le delizie del paradiso di Dio, andavi come vestito di gemme; eri perfetto fin dal giorno della creazione, e tale sei rimasto fino a che l’iniquità non venne ad insozzarti. E qual è questa iniquità se non quella di aver troppo stimato te medesimo, ed esserti fatto un laccio della tua medesima eccellenza?

Infelice e mille volte sventurata. Dice Bossuet, quella creatura che non vuole guardarsi in Dio, e che fissandosi in se stessa si separa dalla sorgente del suo essere, la quale è per conseguenza ad un tempo la sorgente della sua perfezione e della sua felicità. Quel superbo che si era fatto Dio a se stesso, suscitò la ribellione nel cielo, e Michele, che si trovò a capo del partito dell’ordine, gridò: Chi è come Dio? — «Quis ut Deus?» — Perciò ebbe il nome di Michele, che significa: «Chi è uguale a Dio?» Chi è colui che vuole mostrarsi a noi come un altro Dio, e che disse nel suo orgoglio: «Io m’innalzerò fino ai cieli, dominerò tutti gli spiriti, e sarò simile all’Altissimo?». Chi è dunque questo nuovo Dio che vuole innalzarsi sopra di noi? Ma gridiamogli tutti dietro: Non vi è che un solo Dio; diciamo tutti a un coro: Chi è simile a Dio? — «Quis ut Deus?» — Osservate che cosa diviene a un tratto quel falso dio che voleva farsi adorare: Dio lo ha colpito ed egli precipitò con gli angeli suoi imitatori. «Tu che t'innalzavi al cielo, sei cacciato nell’inferno, nei più profondi e tenebrosi abissi» (Is. XIV, 15). Nella sua caduta conserva tutt’intero il suo orgoglio, perché l’orgoglio deve essere il suo supplizio (Sur les Démons).

Il combattimento. «Un grande combattimento, dice l'Apocalisse, si fece nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il dragone e gli angeli suoi. Ma questi non valsero a sostenere la lotta e per loro non rimase più posto in cielo. E quel gran dragone, quel serpente antico, il cui nome, è diavolo e Satana, che seduce tutta la terra, fu precipitato giù insieme agli angeli suoi » (XII, 7-0). Il demonio non stette più nella verità, scrive S. Bernardo, perché non si appoggiò nel Verbo. Egli si affidò alle sue forze; volle sedersi mentre non poteva di per se stesso nemmeno tenersi in piedi. Diceva in cuor suo: «Io m’assiderò; ma Dio, giudicando altrimenti, non gli permise né di sedere, né di stare ritto. Allora il demonio cadde; lo dice Gesù Cristo di propria bocca: Io vedeva Satana precipitare come folgore dal cielo» — «Videbam Satanam sicut fulgur de coelo cadentem »(Lc. X, 18). Chi dunque è in piedi, non si fidi di sé, ma si appoggi al Verbo, per non cadere. È parola del Verbo, che senza di lui noi non possiamo fare nulla (Serm. LXXXV, in Cantic.).

Io mi assiderò e sarò simile all'Altissimo. O impudente! Dice il medesimo padre; milioni di angeli lo servono e centinaia di milioni stanno con le ali ai piedi per seguirne gli ordini e tu ti assiderai! I cherubini stavano e non sedevano: ora che hai tu fatto perché già sii degno di sedere? «lo vidi, dice Isaia (VI, 1-2), il Signore assiso sopra un alto trono e i cherubini stargli in piedi attorno».  Perché tu, o Lucifero, che sembravi lo splendore dell’aurora, non sei rimasto nella verità se non perché tu non eri un serafino? Cherubino vuol dire illuminato e infiammato; e tu, infelice, avevi la luce senza il calore. Ti sarebbe giovato di più essere ardente, che non splendente; dovevi reprimere quella tua vanagloria di comparire ed era tuo debito umiliarti. Ma no, tu hai detto: «Io ascenderò sulle nubi e mi vi assiderò, ed eccoti caduto. I serafini stanno ritti e saldi, perché la carità giammai non cade», dice S. Paolo: «Charitas nunquam excidit» (I Cor. XIII, 8). Essi stanno fissi nell'eterna incommutabilità, e nell’incommutabile eternità. Tu, o Lucifero, hai pensato di sederti! O empio! Eccoti perciò mal fermo sulle piante e, cercando di ascendere, stramazzerai; è il Figlio dell’Eterno quegli che sta assiso sul trono; è il Signore degli eserciti, che giudica con calma. Solo la Trinità sta assisa, solo essa ha l’immutabilità, ma i serafini stanno in piedi.

Gli angeli ribelli furono dunque rei. 1° di una eccessiva compiacenza della loro bellezza ed eccellenza; 2° del disegno di bastare a se stessi e di vivere unicamente per sé, ricusandosi di dipendere da Dio; 3° di aver voluto arrogarsi la beatitudine e riconoscerla dalle proprie forze, non dalla potenza e bontà di Dio; 4° di aver ambito d’innalzarsi sopra degli altri angeli e disdegnato ogni soggezione a qualsivoglia persona, anche alla persona medesima di Dio.

Lucifero peccò. 1° per un intollerabile orgoglio; 2° per la ribellione sua e degli angeli suoi contro Dio e la Chiesa celeste; 3° Lucifero ed i suoi angeli commisero un delitto di lesa maestà divina, avendo tentato d’impadronirsi del trono di Dio medesimo; 4° Lucifero cercò di trascinare dietro di sé gli angeli, e cerca ancora di trascinare con sé gli uomini; 5° egli è l’autore di tutti i peccati, ma è anche la creatura più sprofondata e tormentata nell’inferno.

Le ragioni della caduta. La prima ragione della caduta degli angeli fu la superbia. La seconda fu il loro proprio nulla. Essi traevano la grandezza e la perfezione dalla mano di Dio, avrebbero dovuto riconoscerlo; ma poveri e deboli perché tolti dal nulla, vollero fidarsi di se stessi e non trovando che il nulla, caddero. La terza fu il cattivo uso che fecero della loro libertà. E che guadagnarono? Ohimè! perdettero tutto... Da angeli di luce, divennero spiriti di tenebre; erano buoni, belli, felici; e divennero cattivi, orribili, infelicissimi. Le medesime cause che trassero in perdizione gli angeli vi traggono ancora gli uomini che li imitano. Adamo volle seguirli, e fu condotto in tale baratro di mali, da cui non sarebbe mai più uscito senza l’infinita misericordia di Dio. Tremiamo... Se gli angeli caddero nel cielo, se Adamo cadde nell’Eden, se caddero Sansone, Davide e Salomone, se cadono i cedri del Libano, di quanto timore e di quanta umiltà dobbiamo essere compresi noi deboli e fragili canne! Perciò il grande apostolo ci esorta a lavorare alla nostra salute con timore e tremore: — «Cum metu et tremore vestram salutem operamini» (Philipp. II, 12).

Il demonio è omicida, padre di tutti i delitti e di ogni eresia.  « Il vostro padre è il diavolo, diceva Gesù Cristo agli scribi e farisei orgogliosi e malviventi, e volete adempiere i desideri di vostro padre. che era omicida fin da principio e non si mantenne nella verità» (Gv. 8, 44). Il demonio uccise se stesso con la sua rivolta. Fu omicida del primo uomo e lo è tuttavia della stirpe umana... Mirava perfino a distruggere Dio, se avesse potuto, per usurparne il posto. E ciò che non poté fare contro Dio nel cielo, l'ha fatto su la terra, spingendo i giudei a uccidere Cristo. Il demonio è il padre della morte e non ha mai generato altro che morte. Non sa far vivere, e come un masnadiero ardito e feroce non d’altro s’intende che di ruberie e di uccisione, ridendosi dei misfatti che gli riesce di far commettere. «Chiunque commette peccato è figlio del diavolo, dice S. Giovanni, perché il diavolo è peccatore fin da principio » (I, III, 8). «Il demonio è il principe del peccato e il padre di tutti i mali», scrive S. Cirillo. Il demonio è l’autore di tutti i delitti, di tutte le menzogne, di tutti gli errori e per ciò il padre degli eretici e delle eresie. Senza di lui il peccato non sarebbe mai esistito e per conseguenza se non ci fosse il demonio non ci sarebbero né miserie, né malattie, né morte, né inferno, perché tutte queste terribili cose sono la pena del peccato. Nessun essere è tanto colpevole, malvagio, depravato quanto Satana...

Perché Gesù Cristo paragona il demonio alla folgore? «Io vedevo, disse Gesù agli apostoli, Satana precipitare dal cielo come folgore» (Lc. X, 18). Lucifero è qui paragonato alla folgore: 1° per la sua agilità; 2° per la sua potenza di nuocere; 3° perché arriva in un attimo, ma passa e scompare anche prontamente se non gli si dà ascolto; 4° perchè appare talvolta sotto forma splendida e pura, benché scacciato, disprezzato, maledetto, si trasforma in angelo di luce.

Perché il demonio è chiamato leone? «Siate sobri e vigilanti, dice S. Pietro, perché il diavolo, vostro nemico, va attorno come leone ruggente che cerca la preda » (I, V, 8). Satana è chiamato leone: 1° perché la notte veglia; 2° è crudele come il leone affamato; 3° manda, come il leone, terribili ruggiti; 4° il leone che si avventa sulla preda è spinto dalla rabbia e dalla fame, cosi avviene del demonio. Il leone calpesta il resto della sua preda, il diavolo sbeffeggia e trae nel fango quelli che arriva a pervertire e uccidere; 5° il leone si appiatta per sor prendere l'incauta fiera, così opera il demonio; 6° il leone contrastato diventa furioso, e Satana ancora; 7° il leone puzza, il diavolo spande dappertutto il fetore delle passioni e del peccato; 8° il leone ed il demonio hanno il medesimo istinto di divorare; 9° come pure vanno entrambi in giro cercando la preda; 10° Il leone assalta principalmente le grandi fiere, gli animali di gran corpo e forza, non curando i piccoli e deboli, e non mangia se non quello che prende vivo; il demonio sceglie il giusto per sua vittima prediletta, assale di preferenza le anime più pie, più sante, più avanzate nella virtù, più eroiche: dei cuori deboli, carnali, vili non tiene conto, già sono suoi; 11° Il leone ed il demonio si slanciano con più furore su l’uomo quando si sentono feriti.

La forza del demonio. Il Vangelo chiama il demonio «il forte armato» (Lc. XI, 21). Chiedete voi quale sia la natura di questo nemico? E uno spirito. Desiderate vederlo? È invisibile. Volete conoscerne il carattere? È cattivissimo e scaltrissimo. S. Paolo lo chiama padrone e governatore del mondo. «Vestite, dice questo grande Apostolo, l'armatura di Dio per potervi difendere dalle insidie del demonio. Poiché il nostro combattimento non è contro uomini di carne e sangue, ma contro i principati e le potenze governatrici del mondo, che sono gli spiriti maligni sparsi per l’aria» (Ef. VI, 11-12). Notate quelle parole: principati, potestà, rettori del mondo. Secondo i santi padri, i demoni hanno conservato, dopo la loro caduta, il medesimo ordine gerarchico che tenevano in cielo prima della defezione. Ordinati come un esercito gli uni comandano, gli altri obbediscono e sono in condizione inferiore: donde ne viene la loro immensa forza. Quelli cui si dà nome di principati, potestà, governatori sono i capi tra i demoni. Volete conoscere qual luogo tiene il demonio? Egli domina la terra e piomba su di noi dalle stanze dell’aria. Cercate della sua dimora? È dovunque giorno e notte. Della sua intelligenza? È vastissima e superiore a quella dei più sapienti uomini... Se voi considerate la sua natura il demonio è «un gigante», dice Origene. « I forti, scrive il Salmista, sopra di me si gettarono» (Ps LVIII, 3); «e come strappare la preda di mano al forte, dice Isaia, come salvare ciò che è stato preso da lui?» (XLIX, 24). Quantunque già strapotenti, i demoni, come spiriti intelligenti, attivi, agili, vigilanti, aumentano ancora spaventosamente questa loro potenza con l’audacia, l’odio, la ferocia da cui sono animati. Conservarono, anche dopo la caduta, tutte le loro forze; e queste sono tali che S. Paolo non si perita di chiamarli: «Signori di questo secolo » (II Cor. IV, 4). Con ragione il Crisostomo lasciò scritto: «Se i demoni sono ordinati a schiere, se sono spiriti, se sono i padroni del mondo, come mai, ditemi, possiamo noi darci ai piaceri, come li vinceremo senza brandire le armi?». Si aggiunga alla forza e potenza dei demoni il loro numero prodigioso; e pensiamo che tutta questa spaventosa moltitudine non cessa mai dal muoverci accanita guerra! S. Paolo chiama i demoni principi di questo mondo, scrive S. Agostino; ma per timore che voi pensiate che siano principi del cielo e della terra, li chiama soltanto principi del mondo, cioè «principi degli amatori del mondo sepolto nelle tenebre, del mondo degli empi e dei cattivi, di quel mondo di cui è detto nel Vangelo che, essendo venuto Gesù Cristo, il mondo non lo conobbe». Essi sono i principi di quel mondo contro di cui il Salvatore lanciò quello spaventoso anatema: «Guai al mondo!», e del quale disse in altro luogo: «O Padre mio, non per il mondo io vi prego» — «Non prò mundo rogo» (Gv 17, 9). I demoni sono i principi di quel mondo cui accennava Gesù Cristo allorché volgendosi al Padre gli diceva: «Padre santo, il mondo non vi ha conosciuto » (Gv. 17, 25); di quel mondo che il re profeta chiama terra di oblio: — «Terra oblivionls» (Ps 87, 13) ed a cui accenna l'Apocalisse in quelle parole: «Guai agli abitatori della terra» (VIII, 13). I demoni sono principi di un mondo simile a quello che il diluvio coprì delle sue acque; sono duci e re di coloro che portano il carattere della bestia e che ne adorano l’immagine (XVI, 2).

Le passioni disordinate. Sta scritto nella medesima Apocalisse che il dragone si arrestò sulla sabbia del mare: (XII, 17-18). Che significano queste parole? Perché il demonio, raffigurato in quel dragone, si posa sul bordo, su l’arena del mare? La Scrittura intende dire, con questo, che il diavolo non è forte e non la vince se non contro gli uomini sterili in buone opere ed incostanti come la mobile arena della spiaggia marina; denota ancora che Satana domina soltanto quelli che si espongono agli uragani, alle tempeste, alle onde furiose delle passioni, quelli insomma che somigliano alla sabbia dell'oceano, esposta a tutte le tempeste, e spesso sollevata, dispersa, aggirata, sommossa. Su la spiaggia del mare del mondo posa il dragone infernale per sbattere e annegare nei vorticosi flutti della concupiscenza, del vizio, del delitto le sue vittime. Contro chi è forte, su chi regna il demonio? Sui figli della superbia (Iob. 41, 25); contro i muti, i sordi, i ciechi, gli zoppi, i paralitici, i morti spirituali. Forte contro i genitori negligenti, scandalosi, indolenti sui vizi dei loro figli; contro i figli indocili, disamorati e irriverenti contro chi diede loro la vita. E forte contro quel giovane che imita il figliol prodigo; contro quella fanciulla che, mancando alle promesse del suo battesimo, si spoglia della veste sacra di Gesù Cristo, non vigila più i suoi sensi e scaccia dal suo cuore l'amor di Dio per dare posto all’amore corrotto del mondo e dei piaceri. È forte contro gli avari, gl’impudichi, gli accidiosi che non pregano, non vigilano e trascurano i Sacramenti. Il demonio non è forte se non col nostro aiuto: «Mentre gli uomini dormivano, disse Gesù Cristo, venne il nemico e seminò zizzania in mezzo al frumento» (Mt 13, 25).

Le catene. È vero che Gesù Cristo ha incatenato il demonio con la sua croce e gli ha detto, come già all’oceano: «Fin qua tu verrai e non più oltre; qui romperai le onde spumanti » (Iob. XXXVIII, II). « Ora come mai, domanda S. Agostino, se è legato, fa tuttavia tanta strage?» e risponde: «Verissimo, o fratelli, che il demonio può moltissimo contro l’uomo, ma badate che domina soltanto sui tiepidi, sui negligenti, su coloro che non temono veramente Dio. Vedete quel leone incatenato: se scorge una preda, si slancia, ma è trattenuto; si agita furibondo e si riprova ad avventarsi, morde per rabbia la catena: vani sforzi, inutile rabbia; la sua preda sta troppo lontano e non può raggiungerla; essa non teme, ma se si avvicina, un po’ troppo, il leone la ghermisce e la divora. Il cane alla catena può latrare, ma non morde se non l’imprudente che gli va a tiro. Quanto è insensato chi si lascia divorare da un leone chiuso in gabbia, o mordere da un cane legato alla catena! A costui voi somigliate, o peccatori imprudenti, perché vi fate mordere e divorare dal demonio. Incatenato, egli non può avvicinarsi a voi tanto da addentarvi; può ruggire e abbaiare, ma non può mordere se non chi vuol essere morso. Poiché il demonio non nuoce con la violenza, ma con la persuasione; né ci strappa a forza il consenso, ma ce lo domanda». Ecco perché S. Bernardo predicava: «Cessi la cattiva volontà, e più non ci sarà inferno». Non sono i diavoli che ci combattono perché noi facciamo il loro volere, diceva l’abate Abramo, ma sono le nostre volontà che mutandoci in demoni, ci tormentano. Interrogato l’abate Achille, in qual modo i demoni possono prenderci: «Per mezzo della volontà nostra», rispose; e soggiunse: «Le anime nostre sono le legna, il diavolo è la scure; la nostra volontà è il manico. Dunque per mezzo della nostra cattiva volontà noi siamo recisi ed abbattuti».

Debolezza del demonio. «Siate soggetti a Dio, dice l’apostolo S. Giacomo, resistete al demonio, ed egli fuggirà da voi» (Iac. IV, 7); ma resistetegli con fede ferma e viva, soggiunge S. Pietro (I, V, 9). Quando il demonio si avvicina e cerca di eccitare in voi moti di collera, di superbia, di avarizia, ecc. resistetegli coraggiosi e lo metterete ben presto in fuga. Poiché davanti ad un'anima forte, il diavolo trema; con gl’inerti è terribile come leone. «L'antico nemico, scrive S. Gregorio, è forte contro quelli che gli dànno retta, debole con coloro che gli resistono. Se si cede alle sue suggestioni, è formidabile come un leone e riesce trionfante; ma se gli si resiste da forti e prontamente, resta schiacciato come una formica. Per gli uni dunque è un leone, per gli altri una formica: ben diffìcilmente le anime carnali si sottraggono alla sua crudeltà, ma quelle pure ne calpestano la debolezza col piede della virtù». «Se guardiamo la natura, osserva Origene, il demonio è un gigante e noi siamo locuste; ma se seguiamo Gesù, il demonio sarà un nulla di fronte a noi». Il demonio è debolissimo contro gli uomini coraggiosi ed eroici. È un leone che ruggisce, quindi è terribile; è un serpente che striscia sul suolo, quindi è debolissimo. Dio che gli ha lasciato la forza per suo supplizio, gli ha posto un freno; non può regnare che su coloro il cui peccato Dio disprezza, i privati della grazia. Triste potenza, vergognoso regno!

Adattamento da fonte: "I tesori di Cornelio A Lapide", Delitti (Progresso e numero dei delitti), Demonio, pp. 448-460, dagli scritti del Barbier

Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro
Approfondimento sul peccato di Lucifero:
Gesù Cristo solo come uomo non preesisteva all’Incarnazione. Prima dell’Incarnazione nessun uomo aveva merito di giustizia, difatti i santi dell’AT hanno meritato l’Incarnazione non di giustizia ma solo di convenienza. L’Incarnazione, secondo l’Aquinate, fu convenientissima poiché così si resero evidentissimi gli attributi di Dio. L’Incarnazione fu anche di “necessità relativa” per riparare al peccato del genere umano, poiché fu il miglior modo di fare ciò. L’Incarnazione si ha solo perché l’uomo ha peccato (Adamo ed Eva) poiché “era l’unico modo per liberare dal peccato l’uomo dandone a Dio la condegna soddisfazione” sostiene il Doctor Angelicus.
Nell’Unione Ipostatica v’è la Natura Divina che non può essere parte o forma di una natura creata, soprattutto corporea quale è l’umana. Ora, resta “totalmente escluso che l’unione del Verbo con la natura umana fosse un’unione di natura” quindi successiva. L’Unione del Verbo fu una unione nella persona. Natura significa essenza di una specie, mentre “persona” significa essenza stessa di una specie. L’unione del Verbo, quindi, fu una unione nella persona del Verbo, quindi è una unione “in persona”.
Attenzione a non commettere l’errore dei Nestoriani. “Ipostasi, o soggetto, è lo stesso che persona, con questa sola differenza, che la sola persona, essendo propria di un soggetto di natura intellettuale, ne mette in evidenza la dignità ed è perciò nome di dignità. Non si può quindi asserire che l’unione del Verbo con l’umana natura fu fatta nella persona e nell’ipostasi, perché così si distingue realmente ciò che non è realmente da distinguere e l’unione sarebbe non intima, ma soltanto esteriore. Peggio ancora, distinguendo in Gesù l’ipostasi del Verbo e la persona, non si può più attribuire al Verbo, ma si deve attribuire ad altri ciò che è proprio dell’uomo, cioé la nascita, la passione e la morte”.
La persona del Verbo dopo l’Incarnazione sussiste nella natura divina e nella umana, quindi è composta di ude nature. Assumere la natura umana non compete alla natura divina ma compete alla persona divina. Gesù è il Figlio di Dio perché è stato concepito dallo Spirito Santo (Luca 1:35). Ma ciò non significa che Gesù non esisteva prima di essere concepito. Gesù è sempre esistito (Gv 8:58; 10:30). Quando Gesù fu concepito, divenne un essere umano in aggiunta ad essere già Dio (Gv 1:1, 14). Cristo, con l’Incarnazione, ciò che era è rimasto, e ciò che non era l’ha assunto (Quod era permansit et quod non erat assumpsit). Ciò che ha assunto non si è confuso con la Natura divina, ma è sempre rimasto distinto. Ed è proprio in questo secondo ambito che Cristo è stato in potenza.
S. Ireneo (Ad. Haer. 1,9) dice: “Imparate, o insensati, che Gesù, il quale ha patito per noi che ha abitato fra noi, Egli è lo stesso Verbo di Dio”. S. Ignazio (Magn. 6,1; Trall. 7,1; Rom. 3,3, ecc.), asserisce contro i Doceti che Cristo, da una parte è il Verbo di Dio esistente dalla eternità nel seno del Padre, dall’altra è vero Uomo, nato da Maria Vergine dalla stirpe di David, che ha patito, è morto e che si è risuscitato. Nel III secolo comincia ad apparire una esposizione più filosofica. Origene (De princ. 1,2; 2,6) dice che in Cristo altra è la natura divina per cui è l’Unigenito del Padre, e altra la natura umana, ma le due nature costituiscono un unico Ente. Gesù, Cristo, anche come questo uomo, è Figlio di Dio per natura e non si può dire in nessun modo adottivo: e giustamente si dice predestinato.
Conc. di Efeso che definì: “Cristo è veramente Dio, come Figlio per natura” (D.311) contro Nestorio; e dal Conc. di Lione II: “Crediamo che lo stesso Figlio di Dio, eternamente nato dal Padre… nato nel tempo dallo Spirito Santo da Maria sempre Vergine.., non adottivo.., ma uno e unico Figlio di Dio in due e da due nature” (D.426) e contro gli Adoziani, i quali ammettevano che il Verbo era Figlio di Dio, ma come Figlio di Maria, era Figlio di Dio solo per adozione e per grazia. Conc. di Toledo XI dichiara: Il Cristo, “per il fatto che procedette senza inizio dal Padre, generato soltanto, perciò non si prende nè fatto, nè predestinato; ma per il fatto che e nato da Maria Vergine, si deve credere che è nato e fatto e predestinato” (D. 285).
DOMANDA: Si dirà, se l’uomo ha peccato per tentazione di Satana, quindi Lucifero era già caduto per ribellarsi all’Unione Ipostatica, come è possibile che l’Incarnazione è avvenuta dopo?
SOLUZIONE: C’è concordanza fra le varie scuole: il tomismo, lo scotismo e la suareziana, quanto alla caduta per un peccato di orgoglio anche se ci sono divergenti opinioni, come ho precisato nello studio (“alcuni ritengono”), per quanto riguarda l’oggetto di questo peccato. 
Nell’Opera Omnia del Suarez (libro VII, capitolo 13) si legge che, secondo alcuni, si ritiene che il peccato di orgoglio degli angeli e quindi di Lucifero è dato da un desiderio disordinato di Lucifero di un’unione ipostatica dell’Incarnazione. Questa opinione viene presa in considerazione da coloro che ammettono che Dio abbia fatto comprendere agli angeli il proposito del mistero dell’Incarnazione. Dio, secondo alcuni, avrebbe espresso il suo “desiderio” dell’unione ipostatica del Verbo con la sua natura , l’angelo avrebbe commesso, quindi, un peccato di orgoglio nei confronti della Divinità poiché reputava questa unione come cosa che ingiustamente gli sarebbe stata rifiutata per essere invece accordata alla natura umana.
Sostanzialmente Lucifero disse: ma perché Dio ci dice che vuole incarnarsi nella natura umana e non in quella angelica? Noi siamo superiori agli uomini, quindi se Dio vuole incarnarsi, DEVE (si sostituisce a Dio) incarnarsi nella natura angelica poiché noi ABBIAMO (peccato di superbia) natura superiore a quella umana. Da qui il peccato di superbia. Gli angeli, quindi, avrebbero peccato non aventi per oggetto un desiderio di beatitudine naturale o soprannaturale, ma un desiderio di unione ipostatica, poiché loro reputavano che questo onore dovesse spettare a loro, al loro capo, proprio per questa idea Lucifero è riuscito, secondo alcuni, a persuaderli.
Nelle tradizionali Meditazioni su San Michele Arcangelo si legge: “Considera quanto sia stato grande l’amore di S. Michele verso Nostro Signore Gesù Cristo. Cominciò quest’amore dal principio del mondo, quando agli Angeli fu manifestato il mistero dell’Incarnazione. Fu questa la cagione – dice il P. Granata – per cui Lucifero si ribellò a Dio. Conoscendo che il Divin Verbo avrebbe assunto nella pienezza dei tempi la natura umana e sarebbe divenuto così capo degli Angeli e degli uomini, adorato dagli uni e dagli altri per l’unione ipostatica, sdegnò Lucifero di adorare il Verbo nell’assunta umanità, e trascinò nella rivolta molti Angeli, ma sorse S. Michele a difendere l’onore di Gesù Cristo, predicò agli Angeli l’adorazione dovuta al Verbo Incarnato, confuse Lucifero e lo vinse con tutti i suoi seguaci.”
I pensatori cristiani si dividono circa le cause di un tale orgoglio anche se in termini generali concordano sul fatto che il primo Angelo, Lucifero, volesse diventare come Dio (da qui è conveniente che si pensi per il desiderio di unione ipostatica, poiché diversamente come Lucifero avrebbe mai potuto desiderare di diventare come Dio? ) e che gli altri angeli lo abbiano in certo modo imitato. Lucifero, presuntuoso per la sua bellezza, avrebbe desiderato ciò che era al di sopra di lui e a cui non poteva pervenire. L’orgoglio l’avrebbe dunque spinto a provare un desiderio inammissibile e indebito di dignità, a desiderare ciò a cui sarebbe pervenuto solo in virtù della grazia divina (esempio con l’unione ipostatica). Quindi: interpretazione del peccato d’orgoglio è quella che concepisce la colpa di Lucifero come il desiderio disordinato di un’unione ipostatica del Verbo di Dio con la sua natura angelica allo stesso modo di ciò che avviene nell’Incarnazione, reputandola a lui assolutamente dovuta e ingiustamente rifiutata per essere assurdamente accordata alla natura umana. Comunque questo peccato d’orgoglio è la malizia assoluta che rifiuta di fatto la piena trascendenza divina nell’ordine dei rapporti personali con lui, nella pretesa, usando le parole di Isaia, di “farsi uguale all’Altissimo” (Is XIV,14).

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