giovedì 3 aprile 2014

luce che abbaglia


Non è di Cristo la luce che abbaglia
“Fa’ risplendere su di noi la luce del tuo volto, perché i nostri pensieri siano sempre conformi alla tua sapienza e possiamo amarti con cuore sincero”.
images (31)Così nella preghiera dopo la Comunione della IV domenica di Quaresima. Così nella Liturgia della Chiesa, che esprime e confessa la fede cattolica. A volte ci farebbe bene sostare sulle preghiere della Liturgia. Il Messale è il catechismo tradotto in contemplazione, perché Dio è “gloria che ci getta in ginocchio” (Romano Guardini). Del resto, mediante la riforma liturgica, la Chiesa intendeva rendere maggiormente comprensibile il tesoro della sua preghiera. Segno, forse, che il problema non era tanto quello della comprensibilità associata alla lingua. Ma questo è un altro discorso!
Si dice una cosa seria, in questa preghiera: che anche i cristiani possono avere pensieri non conformi alla sapienza divina. Infatti si prega per coloro che hanno comunicato al Corpo di Cristo, non per coloro che non appartengono al corpo che scaturisce da questa comunione. Ai cristiani viene detto che se Dio non fa risplendere su di loro la luce del suo volto, anch’essi possono concepire pensieri difformi dalla volontà salvifica di Dio. Questa è una verità spesso ignorata. Noi non possiamo fare nulla senza la grazia, proprio nulla. Anche la necessaria e giusta disponibilità ad accogliere e a collaborare con la grazia, è un dono di grazia. E’ Dio, infatti, che suscita in noi il volere e l’operare (cfr. Fil 2, 13). Se fosse fondato l’ottimismo antropologico che oggi pervade tanti ambiti della Chiesa, fino al punto di apparire talvolta come un’euforia vera e propria, quale sarebbe il senso della Redenzione? La gioia del Vangelo è che tutti possono trovare la guarigione e conseguire la vita. Anche i peggiori, anche quelli che sembrano irredimibili secondo le nostre anguste classificazioni. Possono, possiamo, ma ad alcune condizioni. E la prima è che vi sia l’accordo con la volontà di Dio.
Nella nostra esperienza, già la semplice amicizia presuppone l’accordo delle volontà. Se poi guardiamo all’amore, non ci sembra innaturale che l’amato voglia conformarsi sinceramente ai desideri dell’amante. Non solo: il semplice desiderio di rendere felice qualcuno ci fa agire in una determinata direzione. Possiamo comprendere, perciò, cosa significhi l’implicazione libera e gratificante della nostra volontà in questo processo di conformazione alla volontà dell’altro. Soltanto per Dio, a volte, tutto questo sembra non valere. O non crediamo più alla sua Rivelazione o ci riteniamo appagati dal saperlo sì presente, ma di una presenza distante. Il rapporto con Dio può essere compreso a partire dalle nostre esperienze, ma esso le supera tutte. Dio è sempre al di là di ogni nostra possibilità di comprensione. Per questo abbiamo bisogno che Egli renda i nostri pensieri conformi alla sua sapienza.
L’Amante è Dio. Ed è un Amante che ha parlato e che ha rivelato il suo volto. Noi non dobbiamo immaginare quali possano essere i pensieri di Dio, perché li conosciamo. Noi dobbiamo, piuttosto, conformarci ad essi. La sapienza, infatti, è la comunicazione amorevole e misericordiosa di un disegno che ci coinvolge, non la rappresentazione di qualcosa che ci emoziona o che ci affascina intellettualmente. La sapienza è gustare Dio, è vivere nella comunione intima con il Suo Amore. Prima ancora di chiederci se vi siano uomini che non vivono secondo i pensieri di Dio, dobbiamo preoccuparci che ciascuno di noi, raggiunto e sostenuto dal dono della grazia, viva in conformità con essi. E dobbiamo preoccuparci dei fratelli di fede che sembrano attratti da altri pensieri. Perché i cristiani, come ci rammenta la preghiera da cui siamo partiti, possono perdere il dono della grazia e possono recepire pensieri che non sono quelli di Dio. Non è una novità, se Paolo ammonisce in questo senso i cristiani di Roma: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom 12,2). La luce è donata per poter vedere. Senza la luce della grazia, la volontà non è capace di discernere e di conformarsi. La debolezza della nostra condizione riguarda tutto quello che siamo, anche la mente.
Commentando il racconto del cieco nato, S. Agostino scrive: ” il Signore aveva detto: Io sono venuto in questo mondo perché vedano quelli che non vedono. Che significa vedano quelli che non vedono? Significa che quanti riconoscono di non vedere e cercano il medico, vedranno. E che significa: e quelli che vedono diventino ciechi? Che quanti si illudono di vedere e non cercano il medico, rimangono nella loro cecità. Questa discriminazione la chiama giudizio, dicendo: Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, un giudizio che distingua la causa dei credenti e di coloro che professano la loro fede dai superbi, da coloro che credono di vedere e che perciò sono più gravemente accecati” (Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 44).
In una celebre preghiera, composta nel travaglio della conversione, il B. John Henry Newman invoca il sostegno della Luce:
“Guidami Tu, Luce gentile, attraverso il buio che mi circonda, sii Tu a condurmi! La notte è oscura e sono lontano da casa, sii Tu a condurmi! Sostieni i miei piedi vacillanti:io non chiedo di vedere ciò che mi attende all’orizzonte, un passo solo mi sarà sufficiente. Non mi sono mai sentito come mi sento ora, né ho pregato che fossi Tu a condurmi. Amavo scegliere e scrutare il mio cammino; ma ora sii Tu a condurmi! Amavo il giorno abbagliante, e malgrado la paura, il mio cuore era schiavo dell’orgoglio; non ricordare gli anni ormai passati. Così a lungo la tua forza mi ha benedetto, e certo mi condurrà ancora, landa dopo landa, palude dopo palude, oltre rupi e torrenti, finché la notte scemerà; e con l’apparire del mattino rivedrò il sorriso di quei volti angelici che da tanto tempo amo e per poco avevo perduto”.
Una luce gentile, come gentile e suadente è la misericordia che ci viene donata. Un passo solo, ma rischiarato dalla Luce. Un passo sicuro verso casa, mentre le tenebre cercano di distogliere dall’adesione alla sola Luce che non inganna. Un passo sul cammino illuminato dalla fede, per poter essere testimoni credibili nello scenario di un mondo che abbaglia. “L’uomo deve riconoscere la piena misura delle proprie responsabilità ed assumerla. Ma per poter far questo, deve riconquistare il giusto rapporto con la verità delle cose, con le esigenze del suo io più profondo, infine con Dio. Altrimenti soccomberà al suo proprio potere e quella “catastrofe globale”, diverrà inevitabile…” (Romano Guardini). Ecco perché ci serve la luce della fede.
L’umile si pente, si vede ancora lontano, si aggrappa alla misericordia di Dio, si confessa, prega e spera. L’orgoglioso non ha bisogno di questo. Semmai è Dio che deve modificare il suo pensiero. E’ la Chiesa che deve adattarsi ai tempi. Egli è cieco, e pensa di possedere la luce. Non dobbiamo preoccuparci dei tanti ciechi che, fuori della Chiesa, mendicano il senso vero della vita e delle cose. Noi esistiamo anche per loro, anzi esistiamo perché anch’essi possano vedere. Dobbiamo preoccuparci dei fratelli che, dentro la Chiesa, vogliono propinarci la luce abbagliante del consenso e della moda. La luce di Cristo non stordisce mai. La luce di Cristo attrae, conforta, rende saldi nella fede, fa dimorare sicuri nella Chiesa. Perché è una luce gentile. Ha il fascino della grazia e la forza di un dono. Cristo, infatti, “fece del suo sangue un collirio per i ciechi” (S. Agostino).
don Antonio Ucciardo

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