venerdì 23 gennaio 2015

contraccettivi cattolici

Tanti, TANTI FIGLI

Dal Rito del Matrimonio:
Siete disposti ad accogliere con amore 
i figli che Dio vorrà donarvi
e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?




“Crescete e moltiplicatevi” questo è il primo comando che Dio Padre rivolge all’uomo e la donna subito dopo averli creati. Non ha detto loro: “Ecco, vi ho unito in matrimonio, ora fate delle belle esperienze insieme, godetevi la vita di coppia, amatevi appassionatamente e, se ve la sentite, dopo attenta valutazione, fate figli con «responsabilità» e parsimonia”. No, il Padre Eterno ha comandato espressamente e semplicemente: “moltiplicatevi, popolate la terra e soggiogatela”. Avrebbe avuto un bel da fare il nostro progenitore Adamo se avesse dovuto soggiogare la terra con 1,2 figli. Non solo, la Sacra Scrittura ci dice espressamente che Adamo chiamò la donna “Eva”, perché ella è la «madre di tutti i viventi». La donna quindi è madre per essenza; ella è madre dei “viventi”, cioè porta in sé il dono della vita. La donna è custode e “matrice” della vita, questa è la sua vocazione naturale e più alta. Non è prima lavoratrice, laureata, donna in carriera, dottore e poi, infine, mamma. No, la donna è madre prima di tutto e soprattutto, è scritto in ogni fibra del suo DNA, e soltanto corrispondendo e amando la natura che il Creatore ha stabilito per lei, realizzerà le sue più profonde aspirazioni di gioia e di amore. La sua capacità e, soprattutto, la sua generosità nel mettere al mondo i figli, rispetta la verità della sua natura più intima e profonda: la maternità.
In questo senso la cosiddetta “paternità responsabile”, entrata nel lessico e nelle coscienze dei fedeli cattolici dal Concilio Vaticano II in poi, e del tutto sconosciuta alla Chiesa di sempre, inquina e stronca ogni slancio di generosità, di umile e amorevole obbedienza a quello che è il disegno di Dio sul Matrimonio e la Famiglia. Tale paternità responsabile è ormai sinonimo di freddo calcolo e di pianificazione umana che rivela la mania d’onnipotenza che prevale nell’uomo contemporaneo, incapace di sacrificio perché privo di fede. L’adozione dei metodi naturali (Billings, Ogino-Knaus, sintotermico, naprotecnologia ecc.), divenuti a tutti gli effetti, come si preconizzava 40 anni fa, il “contraccettivo dei cattolici”, priva il Matrimonio di quella bellezza e di quella semplicità data dalla fede serena e sicura che Dio è Padre sapiente e provvidente. Molti oggi utilizzano i metodi naturali con la scusa della loro liceità e della loro “naturalità” per fare slalom fra le occasioni di fecondazione dell’ovulo. Le scuse poi addotte sono le più disparate (e sempre le stesse): la fatica, la precarietà economica, la fragilità emotiva e psichica o l’impossibilità di garantire loro un’educazione uguale per tutti e così via. In tal modo si alimentano le cattive inclinazioni e si raffredda la carità. A tal proposito dice Pio XII: “Il numero dei figli non impedisce la loro egregia e perfetta educazione; che il numero, in questa materia, non torna a discapito della qualità, sia in rapporto ai valori fisici che a quelli spirituali” (Discorso alle famiglie numerose). L’esempio dei santi d’altronde dovrebbe spronarci ad avere maggior fede e coraggio. D’altra parte non mi riferisco solo a coloro che si servono dei metodi naturali per evitare le gravidanze, ma anche a coloro che se ne servono abusandone, per cercare a tutti i costi un figlio. Il problema di fondo di questo approccio sta nell’aver trasformato in puro calcolo l’atto coniugale, privandolo di quella naturale purezza disinteressata che spinge l’uomo ad unirsi alla moglie mettendosi nelle mani di Dio, Padrone e Signore della vita. Tutto sta nell’intenzione e nella disposizione d’animo: il figlio non è un oggetto né da rifiutare né da pretendere a tutti i costi, quasi che attraverso i calcoli medico-biologici possa automaticamente e meccanicamente prodursi a comando. “Tutto in questa materia dipende dall’intenzione…se manca il sincero proposito di lasciare al Creatore di compiere la Sua opera, l’egoismo umano saprà sempre trovare nuovi sofismi ed espedienti per far tacere, se possibile, la coscienza e perpetuare gli abusi” (Pio XII, Discorso alle famiglie numerose).
Ecco l’eredità del Signore sono i figli: la sua ricompensa, il frutto del seno. Quali frecce nella mano d’un valente guerriero, tali sono i figli della gioventù. Beato l’uomo che ha appagato la sua brama con essi: non sarà confuso, quando parlerà ai suoi nemici sulla porta” (Sal 126 3-5). Le traduzioni moderne hanno trasformato l’ultimo periodo in questo modo: “Beato l’uomo che ne ha piena la faretra”, mentre l’abbate Ricciotti, traducendo direttamente dalla Vulgata di San Girolamo, dice espressamente: “Beato l’uomo che ha appagato la sua brama con essi”. Vale a dire che l’unico frutto onesto e l’unico motivo lecito per cui l’uomo e la donna possono avere rapporti coniugali è la generazione dei figli. E questa è la dottrina che la Chiesa Cattolica, su mandato di Nostro Signore, ha sempre creduto e insegnato. Oggi, invece, si preferisce usare un linguaggio “ampio”, ambiguo e fuorviante. Ciò ha portato allo sdoppiamento del fine proprio dell’atto coniugale. Espressioni quali, “mutua donazione”, “paternità responsabile”, “fine unitivo e fine procreativo”, “prudente apertura alla vita” ecc. hanno dato adito alla credenza che l’atto coniugale in sé possa essere suddiviso, o meglio separato, in due momenti distinti quello cosiddetto “unitivo” e quello “procreativo”. Purtroppo questo sdoppiamento teleologico imprudente e avventato, fornisce i presupposti assiologici per uno snaturamento dell’atto proprio del matrimonio favorendo lo slittamento verso una mentalità contraccettiva. Se infatti ci sono due fini distinti nell’atto coniugale, ciò significa che tali fini possono essere anche separati l’uno dall’altro senza intaccare l’essenza di quell’atto. Purtroppo, allo scopo di correggere il tiro, si devono produrre poi montagne di carte per precisare come questi due fini non siano in realtà separabili. Tuttavia, come la prassi comune dei fedeli, e la ricezione generale di una concezione piuttosto vaga e imprecisa dell’atto coniugale ci dimostrano, tale approccio ha aperto la strada alla rivoluzione sessuale degli anni 70. Infatti, tale terminologia equivoca e facilmente male interpretabile, nonché l’aggiunta del cosiddetto fine “unitivo” dell’atto coniugale, sono rimaste sconosciute al linguaggio definitorio del Magistero ecclesiastico fino all’avvento del Concilio Vaticano II e, a seguire, del Pontificato di Paolo VI, Giovanni Paolo II ecc.
Vediamo anche come la società contemporanea veda il trionfo della sessualità corrotta e sterile, slegata dalla sua finalità procreativa e perciò stesso profondamente stravolta e adulterata. Di recente un professore cattolico di grande fede ha giustamente dichiarato: “Tutti i rapporti sessuali oggi sono, per così dire, “omosessuali”, anche quelli che materialmente sono compiuti da un uomo e una donna, perché? Perché sono sterili, morti, snaturati, sovvertiti dall’egoismo e dalla brama di piacere che ostacola e rifiuta l’unico frutto onesto della sessualità: i figli”. In definitiva, è l’egoismo che sta alla base dell’incapacità di accogliere tutti i figli che Dio manda, e non che l’uomo e la donna stabiliscono di comune accordo, pianificando, calcolando, centellinando, soppesando. Fare figli significa dare la vita per amore di Dio, non per un proprio torna conto, significa rispondere con prontezza a ciò che Dio comanda e vuole dalle famiglie. Questa è la strada della loro santificazione, non ce n’è altra.  
L’accoglienza della vita e il sacrificarsi per l’allevamento e l’educazione cattolica dei figli è la cosa più bella e santa che un uomo e una donna, lecitamente uniti in Matrimonio, possano compiere nella propria vita. Molto più alto e perfetto di qualsiasi studio o impiego che nel mondo si possa svolgere anche in favore dell’apostolato. E la ragione di ciò risiede nel riprodurre gli attributi divini su questa terra, giacché l’essere padre e madre equivale ad imitare l’opera di Dio che crea e provvede alle sue creature.
A tal proposito, è bene spendere due parole sul cosiddetto “matrimonio giuseppino” a volte proposto sotto la veste di un “santo” proposito, ma che può facilmente nascondere una mancanza di fede o, come la chiama san Francesco di Sales, una devozione “squilibrata e insopportabile”. Chi infatti vuole consacrare la propria virginità completamente a Dio, ha già la strada dove poter praticare le virtù proprie della vita religiosa. È vero, allo stesso tempo, che due sposi possono vivere insieme senza consumare le nozze, o magari rinunciare ad avere rapporti di comune accordo, come alcuni coniugi santi hanno fatto dopo anni di Matrimonio, ma ciò non significa che quello sia il “modello” della famiglia santa né, tantomeno, il fine del Matrimonio. Bisogna credere, amare e abbracciare totalmente il fine proprio del Matrimonio che è la generazione della prole, senza restrizioni, senza ricercare l’eccezione che ci permetta di evitare il peso e la fatica del sacrificio. Giacché il coniugio, come il sacerdozio e la verginità consacrata, è una via per giungere al fine ultimo che è Dio attraverso la propria santificazione. Ora, ogni stato di vita ha le sue regole e i suoi modi seguendo i quali ci si può santificare: nel Matrimonio ci si santifica sacrificandosi per la famiglia, facendo figli ed educandoli cattolicamente, nel Sacerdozio ci si santifica dicendo Messa, confessando, amministrando i sacramenti e così via. Ma chi fugge dai doveri del proprio stato per cercare una maggior “pseudo-devozione” inganna se stesso e spreca il talento che Dio gli ha affidato, e di cui dovrà rendere conto. Come sempre, bisogna stare attenti a non fare dell’eccezione la regola. Dice Pio XI: “I genitori cristiani intendano inoltre che sono destinati non solo a propagare e conservare in terra il genere umano; anzi non solo ad educare comunque dei cultori del vero Dio, ma a procurare prole alla Chiesa di Cristo, a procreare concittadini dei Santi e familiari di Dio” (Casti Connubii). Il papa, qui sta ricordando, insieme alla perenne Tradizione della Chiesa, il compito altissimo e inestimabile che viene affidato agli sposi cristiani e che essi si assumono liberamente nel momento in cui contraggono Matrimonio: popolare il Cielo di Santi.
Ora il valore della testimonianza dei genitori di famiglie numerose non solo consiste nel rigettare senza ambagi e con la forza dei fatti ogni compromesso intenzionale tra la legge di Dio e l’egoismo dell’uomo, ma nella prontezza ad accettare, con gioia e riconoscenza gli inestimabili doni di Dio, che sono i figli, e nel numero che a Lui piace” (Pio XII, Discorso alle famiglie numerose). Quanto dovremmo ricordare a noi stessi, che la vita e la morte non sono in nostro potere, che non stabiliamo noi se e quanti figli avremo, anche se apparentemente potremmo essere fecondi e prevediamo di averne molti, riservando a noi stessi il tempo e la modalità di metterli al mondo. E che dire invece di coloro che pur desiderandone ardentemente non gli vengono concessi dal Cielo per chissà quale bene maggiore? Ma, come dice Pio XII, la disposizione umile e prontamente generosa a fare “tutto quello che Egli ci dirà” stabilisce già un terreno fertile perché Dio mandi la sua benedizione e la sua provvidenza.
Le famiglie numerose … sono la garanzia della sanità di un popolo, fisica e morale. Nei focolari, dove è sempre una culla che vagisce, fioriscono spontaneamente le virtù, mentre esula il vizio, quasi scacciato dalla fanciullezza, che ivi si rinnova come soffio fresco e risanatore di primavera…Le famiglie numerose sono le aiuole più splendide del giardino della Chiesa, nelle quali, come su terreno favorevole, fiorisce la letizia e matura la santità” (Pio XII).

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