venerdì 30 ottobre 2015

come fare carriera nella chiesa

STANNO BUGGERANDO IL SANTO PADRE: PROTEGGIAMO PIETRO! I PEGGIORI GATTOPARDI  TRASFORMISTI STANNO GIUNGENDO IN PAUPERISTICA GLORIA ALL’EPISCOPATO

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Il Santo Padre Francesco ha dato da subito delle precise e chiare direttive per la selezione dei nuovi vescovi ch’egli vuole corrispondenti a certi “schemi”, con tutto il rischio che questo può comportare, visto e considerato che un vescovo non deve essere conforme alla “moda” di uno schema, ma alla grazia di Dio ed alle azioni che da essa promanano. Ma c’è di più: il Prìncipe degli Apostoli non è mai stato incaricato da Cristo di creare dei duplicati a sua immagine e somiglianza, bensì ad esaltare in Cristo il mistero della nostra immagine e somiglianza con Dio. E per capire queste ovvietà, non occorre affatto essere un papa teologo, basta solo del semplice e basilare buon senso pastorale. Il problema, quindi, dovrebbe essere quello di dare buoni vescovi alla Chiesa; che siano buoni come li vuole Cristo, non come “li voglio io”. Che corrispondano a precisi schemi di grazia divina, non certo a quelle mode tanto ben raffigurate da Severino Boezio: «Le forme esteriori sono come i fiori di campo, che appassiscono e mutano col cambio di stagione».
.Autore
Ariel S. Levi di Gualdo.
Può un presbìtero lanciare un severo monito ai vescovi che sono rivestiti della pienezza di quel sacerdozio apostolico che egli non ha? Si, per imperativo di coscienza può e deve farlo, se i vescovi si palesano codardi. Il Beato Apostolo Paolo protesse ad Antiochia il Beato Apostolo Pietro da quelle sue limitatezze e fragilità che stavano generando seri rischi per l’intera Chiesa di Cristo [Gal 2, 11-14]. Ogni vescovo che pur percependo il pericolo non protegge Pietro, anche a danno e scapito di sé stesso, preferendo rifugiarsi nelle pavide omissioni e nel conformismo del quieto vivere, reca immane danno alla Chiesa e compromette la salute eterna della propria anima. Perché se tanto ci è stato dato da Dio, tanto dovremo in proporzione rispondere a Dio per ciò che Egli ci ha dato. E oggi noi ci ritroviamo ad essere nelle mani di vescovi ripiegati sempre più nella calcolata codardia.
Ariel S. Levi di Gualdo
Un lettore mi ha chiesto se ero affetto da spirito borderline, ed a tal proposito ha affermato: «Tu passi dalla critica al Sommo Pontefice alla sua difesa a oltranza e viceversa». Gli ho spiegato che proprio questo elemento costituisce in sé negazione dello spirito borderline. Anche per questo i Padri dell’Isola di Patmos hanno spesso chiarito che quando il Romano Pontefice si esprime come dottore privato, quando parla in modo estemporaneo, o quando compie scelte puramente “amministrative”, può essere oggetto del nostro sindacato, purché la nostra legittima critica sia mossa da profondo rispetto e venerazione verso la sua sacra persona. Quando invece egli agisce e si esprime come supremo custode del depositum fidei, o quando di propria autorità – motu proprio Summorum Pontificum – stabilisce nuove discipline o indirizzi pastorali, in tal caso non può essere soggetto a sindacato alcuno; e verso certi suoi provvedimenti non è contemplato e previsto nessun genere di appello [cf. CIC, can. 333 §3], ivi incluse le azione “referendarie” con tanto di raccolta di firme, come hanno fatto di recente certi cattolici di cui non ricordo il nome. Il discorso della infallibilità del Romano Pontefice è chiarito in modo magistrale e magisteriale in un documento di San Giovanni Paolo II nel quale si specificano i tre diversi gradi della infallibilità [cf. Lettera apostolica Ad tuendam fidem, QUI].



Alzheimer cafe
il Padre Ariel frequenta l’Alzheimer Cafe e poi non ricorda le cose …

Che sulle colonne di questa nostra rivista telematica si sia sempre difesa la sacra persona, il magistero ed i provvedimenti del Sommo Pontefice, ciò non vuol dire che il tutto ci abbia indotti a smarrire la percezione degli oggettivi difetti umani dell’uomo Jorge Mario Bergoglio. Non siamo infatti come quei papisti più papisti dello stesso Papa.


cardinale Bergoglio
l’Arcivescovo di Buenos Aires, prima della sua elezione al sacro soglio

Già in passato ho lamentato che a mio parere l’uomo Jorge Mario Bergoglio è sicuramente gravato da tutti i pregiudizi anti-romani tipici di certe psicologie ecclesiastiche che si sono formate nell’America Latina degli anni Settanta; e il mio parere rimane in tutto e per tutto sempre opinabile. Il problema è però di non lieve conto al momento in cui quest’uomo non è più l’Arcivescovo di Buenos Aires, ma il Romano Pontefice; chiamato “romano” non per una delimitazione locale, né per chissà quali “glorie” e “fasti imperiali” del passato, ma perché Roma è da sempre simbolo e paradigma della universalità cattolica, come sotto diversi ma simili aspetti lo è Gerusalemme. Il tutto con buona pace di certe psicologie argentine, convinte che il Paradiso terrestre era in Argentina e che lì, in verità, furono creati Adamo ed Eva. Molti sono infatti gli argentini convinti che il Verbo Incarnato nacque nell’antica Giudea solo per disguidi tecnici, tutti dovuti al fatto che il Creatore non colse l’espressione di gradimento del Figlio generato non creato della stessa sostanza del Padre, che avrebbe voluto venire alla luce a Buenos Aires, non a Nazareth.
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alfonso maria de liguori
immagine pittorica del Santo dottore della Chiesa Alfonso Maria de’ Liguori

Da diversi anni a questa parte sentiamo ripetere la frase: «Bisogna ripartire da …». E ciascuno indica un fondamentale punto dal quale ripartire: la cultura, la dottrina, la pastorale, il concilio … e via dicendo. Personalmente è dal 2008 che ― forse sbagliando? ― insisto scrivendo e affermando che è necessario ripartire dai Vescovi per poi ripartire dai preti. Per avere dei buoni preti è infatti indispensabile avere dei buoni vescovi; in caso contrario non si può ripartire da niente.
Nel XVII secolo Alfonso Maria de’ Liguori, Vescovo di Sant’Agata de’ Goti, futuro santo e dottore della Chiesa, espresse parole molto severe facendo delle dure analisi sulla disastrata situazione dell’episcopato del Regno borbonico, dove sovente le diocesi erano affidate a vescovi mediocri e arroganti che si comportavano come alti notabili, anziché come pastori in cura d’anime. Lamentele che diverse nella forma ma simili nella sostanza riaffiorano nel XIX secolo dalle labbra e dalla penna del Beato Antonio Rosmini, che indicò il modo in cui l’origine di alcune delle principali piaghe della Chiesa derivasse dall’episcopato e da una mancanza di adeguata formazione data dai vescovi ai loro futuri sacerdoti, od ai loro sacerdoti.




Per capire certe scelte e modi di agire del Santo Padre bisogna calarsi nella mentalità latinoamericana, facendo però una debita premessa: dicendo America Latina si corre il rischio di dire tutto e niente. 


papa squadra san lorenzo
vignetta sul Santo Padre Francesco, notorio tifoso della squadra di calcio argentina del San Lorenzo. Per vedere le foto delle vignette riportata dall’Avvenire, cliccare QUI

Parole come Africa, America Latina, Europa, indicano di fatto solo delle estensioni geografiche, o degli interi continenti all’interno dei quali vi sono Paesi molto diversi gli uni dagli altri, abitati da popolazioni con caratteristiche opposte a quelle dei loro vicini e dei loro lontani. Questo per giungere a dire che il pessimo carattere degli argentini, la loro testardaggine congenita, il loro essere degli indomiti e stravaganti argentinocentrici, costituiscono da sempre degli elementi sociali-caratteriali che li rendono per questo oggetto delle ironie delle altre popolazioni dell’America Latina. E certe caratteristiche tipiche della psicologia del suo popolo, l’uomo Jorge Mario Bergoglio le sintetizza tutte; a partire dal fatto che non si può gestire una delicata dimensione di universalità rimanendo ancorati a schemi di provincialismo argentinocentrico; né ci si possono immaginare villas de las miserias o favelas laddove queste non ci sono, comportandosi però di conseguenza come se esistessero realmente, perché tutt’altre sono le miserie e le povertà dell’Italia o dei Paesi europei in generale.



passaporto papa
Il rinnovo del passaporto argentino da parte del Romano Pontefice, che peraltro e non ultimo è anche Capo di uno Stato sovrano, la Città del Vaticano.

Anche se qualcuno potrebbe obiettare che era altro mondo, storia e tempi, resta il fatto che quando il Venerabile Pontefice Pio XII, che pure incarnava la romanità; o quando l’italianissimo Beato Pontefice Paolo VI si rivolgevano in saluti o discorsi ufficiali ai cattolici italiani, usavano espressioni di questo genere: «Il Signore benedica il vostro amato Paese … in questa occasione rivolgiamo un particolare pensiero agli abitanti di questo vostro Paese». Fu solamente San Giovanni Paolo II, nato e cresciuto nella Polonia, che proprio perché “non italiano” si rivolgeva al nostro Paese dicendo «l’Italia», o usando un paio di volte, agli inizi del suo pontificato ― proprio perché “straniero” ―, l’espressione «la nostra Italia». Né al Servo di Dio Pio XII né a San Giovanni XXIII, né al Beato Paolo VI né a Giovanni Paolo I passò mai per la mente di rinnovare, da Sommi Pontefici, il passaporto italiano, né a San Giovanni Paolo II quello polacco, né a Benedetto XVI quello della Repubblica Federale Tedesca. Il rinnovo del passaporto della Repubblica Argentina da parte del Sommo Pontefice Francesco — che, inutile ricordarlo, è anche un Sovrano Capo di Stato —, è un gesto da analizzare entro gli schemi comportamentali delle cosiddette argentinate tipiche della psicologia degli argentinocentrici.



papa omelia santa marta
il Santo Padre durante una delle sue omelia presso la Domus Sactae Martae, nel corso delle quali ha rivolto numerosi profondi pensieri e preziose indicazioni pastorali, se la stampa laicista, con i suoi taglia&cuci, non avesse più volte messo sulla sua bocca cosa mai dette, o frasi estrapolate da ben più complessi pensieri

Sul Santo Padre si potrebbero narrare vari apologhi, a partire dalle sonore bastonate date all’episcopato e al clero. Bastonate che potrebbero essere espressione di autentica e preziosa carità, se fossero elargite con la chiarezza e la fermezza con le quali le elargì nel 1935 il Venerabile Pontefice Pio XI, di cui consiglio la lettura della splendida e attuale enciclica dedicata al ministero sacerdotale: Ad catholici sacerdotii  [cf. QUI]. Ciò che invece notiamo nel Santo Padre Francesco è talvolta una tendenza a esprimersi e agire sugli impulsi della pasione argentina. Cito un esempio tra i tanti riguardante una questione sulla quale scrissi lo scorso anno [cf. mio precedente articolo, QUI], dopo che il Santo Padre ebbe data l’ennesima bastonata al clero con questa frase espressa durante una delle sue omelie mattutine a Santa Marta:
«Quante volte vediamo che entrando in una chiesa ancora oggi c’è lì la lista dei prezzi: per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la messa. E il popolo si scandalizza» [cf. Radio Vaticana, QUI].


pastori evangelici ricchi
Una «Chiesa povera per i poveri»? Ma chi la pensa a questo modo dovrebbe evitare di andare ad abbracciare i ricchi pastori evangelici che della ricchezza fanno il proprio status symbol. Per aprire il video cliccare QUI


Il Santo Padre, come dimostra il testo della sua omelia, applica all’Italia criteri che non sono nostri, anzi ci sono proprio estranei. E infatti, nella seconda parte, egli si rifà alla sua esperienza in Argentina. A parte questo: la cosa che molto ha colpito il clero al quale quella sberla era destinata, è stato il modo in cui il Santo Padre se ne andò poi a Caserta per visitare, abbracciare e domandare persino perdono ai pentecostali [cf.QUI], i cui pastori hanno sì dei veri e propri tariffari, oltre a riscuotere le decime dai propri fedeli. E siccome le decime sono pagate in proporzione al reddito, è presto detto quanto i “buoni pastori” corteggino i ricchi e quanta poca corte facciano invece ai poveri di quelle villas de las miserias che tanto piacciono al Santo Padre. E quando si presentano a predicare presso qualche loro comunità, lungi dall’arrivare rivestiti di un sacco col bastone del pellegrino in mano, sfoggiano automobili, abiti e accessori particolarmente lussuosi, indicando anche attraverso il loro aspetto esteriore che alla stregua delle stars di successo sono molto apprezzati, di conseguenza ben pagati per il loro talento oratorio; diversi di essi giungono persino con il proprio aereo privato. Molti i pastori pentecostali che, mescolando Dio e Mammona, affermano persino che «il portafoglio è l’apri scatola del cuore» [cf. QUI]. A maggior ragione è lecito domandarsi: era necessario prendere a sberle i preti e andare poi ad abbracciare i pastori-imprenditori pentecostali che giungono a predicare all’interno di teatri affittati per migliaia di euro, dopo avere parcheggiato all’ingresso la loro Mercedes e gesticolando sul palco davanti al pubblico coi Rolex d’oro al polso ed i vestiti di Giorgio Armani indosso? Qualcuno ha per caso informato il Santo Padre che certi pastori pentecostali, in Italia, per una predica a suon di grida “alleluja” e … “un applauso allo Spirito Santo! “, al termine dei loro sproloqui ereticali pneumatologici se ne escono dopo un’ora con un assegno di 5.000 euro in tasca?



soldati ebrei di mussolini
Il libro di Giovanni Cecini dedicato alla storiografia dei militari israeliti nel periodo fascista. Per leggere la recensione storica cliccare QUI

Era proprio necessario profondersi in scuse per delle responsabilità persecutorie che i cattolici italiani non hanno affatto verso i pentecostali, visto che tali responsabilità ce l’ha il regime fascista? Qualcuno potrebbe obiettare che alcuni dei persecutori erano stati battezzati nella Chiesa Cattolica; e questo basta forse a rendere la Chiesa ed i cattolici corresponsabili? Perché con la stessa logica dovremmo allora ricordare che il potestà fascista di Ferrara, Renzo Ravenna, era un ebreo, il quale come tale era stato circonciso da bambino, ed al tempo stesso era anche presidente della locale Comunità ebraica. Come era ebreo il vice capo generale della polizia di Stato sotto il regime fascista, Dante Almansi, già prefetto fascista, il quale era anche presidente delle Comunità Israelitiche d’Italia. Furono ben 250 gli ebrei italiani che parteciparono con Benito Mussolini alla Marcia su Roma e numerosi altri ebrei italiani erano fedeli fascisti della prima ora. Ciò malgrado non mi risulta che il Gran Rabbino di Roma abbia mai chiesto scusa agli ebrei per i diversi ebrei altamente compromessi a livello istituzionale col regime fascista; e ciò per un ovvio dato di fatto: l’Unione delle Comunità Ebraiche d’Italia e gli ebrei italiani, non hanno alcuna responsabilità storica per le infami persecuzioni subite dal 1938 in poi, proprio come non ne abbiamo noi cattolici per le azioni persecutorie dei fascisti verso i pentecostali. Questo per ribadire che non ci si può lanciare in certe “avventure emotive” stile pampero senza prima avere conosciuta e assimilata una profonda conoscenza della complessa storia d’Italia. Era quindi proprio necessario abbracciare e profondere scuse ai ricchi maggiorenti della sètta pentecostale, quando non pochi parroci italiani che si sono visti elargire quella sberla dal Santo Padre, hanno poi serie difficoltà a pagare la bolletta della luce della chiesa, spesso pagata dai loro anziani genitori coi soldi tirati fuori dalle loro modeste pensioni?


Erbe Amare - copertina
il libro di Ariel S, Levi di Gualdo: Erbe amare, il secolo del sionismo, edito nel 2006 ed a breve in ristampa con una nuova casa editrice

Per dei figli, dover riconoscere le limitatezze del proprio padre, non è mai cosa piacevole, ma a volte è cosa necessaria proprio per confermare a se stessi ed agli altri che comunque, malgrado tutto e al di là di tutto, egli è il nostro legittimo padre e che in quanto tale merita il nostro più profondo rispetto; e che comunque, per quanto gravato anche da limiti e da spirito imprudente — come del resto, ancora più di lui, lo era Pietro scelto personalmente dal Signore Gesù —, al momento opportuno, «una volta ravveduto», egli «confermerà» sempre e nel modo migliore «i fratelli nella fede» [cf Lc. 22, 31-34].
La Chiesa non può essere governata con schemi standard simili a quelli delle mode, ma soprattutto non può essere governata con le passioni nazional popolari tipiche dei caudillos. Nel mio precedente articolo già richiamato [cf. QUI] parlavo con tutta la preoccupazione del caso della nuova “moda” attraverso la quale oggi sono selezionati i vescovi, presupposto dei quali è quello di essere stati — davvero o per finzione — a servizio dei poveri e degli emarginati, di avere frequentato i centri per immigrati e visitato i campi Rom. Anche su questo ebbi a scrivere con un tocco di addolorata ironia [cf. QUI], perché leggere le “schede” di presentazione dei nuovi vescovi, se non fosse tragico indurrebbe al sorriso. Prendiamo come esempio una sola di queste “schede”, perché al suo interno sono contenuti quegli elementi chiave che si ripetono da due anni a questa parte nelle “schede” di tutti i nuovi vescovi, o perlomeno di nove su dieci:
«[…] Peculiare la sua attenzione ai poveri, sottolineata dal Cardinale Vallini, che ha ricordato le visite ad alcuni campi rom in cui don Lojudice l’ha accompagnato in questi anni: una realtà di “frontiera” che il vescovo eletto aveva scelto di seguire alcuni anni fa insieme ad un gruppo di alunni del Seminario Romano Maggiore, dove è stato padre spirituale dal 2005 al 2014. Un segno di riconoscimento di Papa Francesco “per l’impegno di carità della diocesi – ha detto il cardinale – portato avanti dalla Caritas, dalle parrocchie, dalle associazioni” » [cf. QUI].



Il Cardinale Crescenzo Sepe mostra dall'altare del Duomo di Nap
 … «Difficile, prendere in giro chi si prende in giro da solo» – Il Padre Ariel fotomontato sull’immagine del Cardinale Crescenzio Sepe che regge l’ampolla di San Gennaro; foto diffusa in occasione del memorabile “pesce d’aprile“, quando l’Isola di Pamosannunciò la sua nomina a Vescovo titolare di Laodicea Combusta [vedere QUIQUI]

Una scheda di questo genere, che corrisponde ormai agli schemi di un copione standard, accompagna anche le recenti nomine dei vescovi di due sedi molto particolari: Bologna e Palermo. Evito di riassumere i vari testi di questo copione profusi su questi due nuovi neo-eletti, perché chiunque può mettersi a girare per Internet e leggere le presentazioni fatte non tanto dai giornali della stampa laicista, che lascia sempre il tempo che trova, ma dai comunicati ufficiali della Santa Sede, delle Diocesi, delle Associazioni cattoliche e via dicendo. I curriculum dei nuovi vescovi sono un tripudio di poveri, immigrati, Rom, disagiati di vario genere … ma soprattutto contengono delle autentiche esaltazioni della povertà sociale; come se la povertà fosse il supremo valore, anziché uno stato di disagio e una sofferenza dalla quale uscire e aiutare ad uscire chi davvero vi versa. Per non parlare dell’ovvio principio di senso comune: non tutti i poveri in quando tali sono buoni, perché la povertà non è un presupposto della bontà, tutt’altro. Spesso i poveri, a causa della loro situazione di povertà, sono resi da essa aggressivi e cattivi, a volte persino malvagi. Cosa questa che non affermo per sentito dire, ma per esperienza pastorale, perché pur non essendo nato e cresciuto nelle “periferie esistenziali”, ho avuto a che fare ― e non una volta per caso, tanto per dare di ciò notizia in un curriculum ― con situazioni nelle quali, bimbi di sei o sette anni appena, erano già stati resi dal loro ambiente di provenienza e di nascita dei delinquenti fatti, finiti e rifiniti, vittime di degradi umani e morali inenarrabili. E quanti di costoro, a diciotto anni e un giorno, sono andato poi a visitare nelle carceri! Ma su tutto questo preferisco non approfondire troppo il discorso, perché se al tutto aggiungessi pure la dichiarazione che sono stato “allievo” del Beato Pino Puglisi — semmai per averlo intravisto due volte, come in realtà lo hanno intravisto molti dei suoi sbandierati “allievi”, vescovi inclusi — o che sono un prete particolarmente stimato da quel demagogo populista di Don Luigi Ciotti … 


pastorale di legno
gli attuali modelli 
francescaneggianti di bastoni pastorali dei nuovi vescovi-gattopardi della Chiesa povera per i poveri, prodotti ormai non più da abili artigiani e orafi di vecchio mestiere, ma direttamente dai falegnami

Mai come in questi ultimi tempi s’erano viste simile cadute di dignità umana e sacerdotale, il tutto riferito a quei preti che fino a ieri supplicavano i loro vescovi di sistemarli in un ufficio di curia, o di mandarli in una università pontificia per prendere un titolo di dottorato, per aggiungere così un tassello al lasciapassare verso l’episcopato. Oggi, questi stessi soggetti, supplicano i vescovi di mandarli in parrocchie “esistenziali” difficili, dove prodigarsi nell’apertura di centri di accoglienza per immigrati e mense per i poveri, perché la Chiesa di Cristo non è la Chiesa di tutti gli uomini di buona volontà, è «la Chiesa dei poveri per i poveri». E quando mai si erano visti preti che, dopo avere fatte carte false per avere una cattedra d’insegnamento in uno studio teologico, dopo avere trattato per anni i vecchi parroci con la puzza sotto il naso tipica di chi ti lascia intendere “io sono un intellettuale e tu un povero parroco ignorante”, mollano d’improvviso tutto per andare a fare i parroci in qualche «periferia esistenziale»?
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caronte
«Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando “Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo» [Dante, Inferno, canto III].

Per questo motivo affermo che il Santo Padre, passionale e forse non poco ingenuo, pare non prestare alcuna attenzione al fatto che dei marpioni di un pelo molto più antico di quello che può essere il suo “furbo” pelo argentino, che a confronto del loro è però un “pelo da latte”, lo stanno letteralmente buggerando, fingendo di compiacerlo e di fare ciò che vuole lui, al solo scopo di ottenere ciò che invece vogliono loro. Tutti noi che viviamo nella Chiesa del reale, non del sentimentale o peggio dell’ideologico, siamo testimoni e spettatori del fatto che oggi, certi nuovi carrieristi, cambiato vento e indossata con disinvoltura una nuova gabbana, ostentano di provenire da famiglie contadine, mentre in verità provengono da famiglie di imprenditori agricoli che guadagnano abitualmente in un solo giorno quel che un impiegato di banca prende di stipendio in un mese. Deposti dentro gli armadi delle loro abitazioni private i dignitosi vestiari e rinchiusi a doppia mandata dentro quelli delle sacrestie i paramenti più belli di cui sono dotate le nostre chiese, vanno girando più sciatti che dimessi, ed i loro paramenti liturgici sono un trionfo di straccetti acrilici dozzinali. Le croci pettorali ed i nuovi bastoni pastorali dei nuovi vescovi della Chiesa povera per i poveri non sono più prodotti da bravi artigiani e orafi con decenni, a volte con secoli di tradizione nella manifattura degli articoli liturgici; sono prodotti direttamente dai falegnami, perché la nuova “moda ecclesiastica” — Cardinale di Lampedusa docet — impone oggi croci pettorali e bastoni pastorali di legno. E mentre i devoti fedeli soffrono veramente e profondamente nel vedere i propri vescovi ridotti alla sciatteria pauperistica spesso più ridicola, coloro che in chiesa non ci vanno neppure per Natale e per Pasqua e che manco conoscono le prime cinque parole del “Credo”, magnificano invece la semplicità e la povertà del vescovo alla mano, proseguendo ovviamente a non andare in chiesa neppure per Natale e per Pasqua, però … «Ah, è un vescovo umile e povero, proprio come Papa Francesco!».


il Santo Padre Francesco riceve l’imposizione delle ceneri nella basilica domenicana di Sant’Alessio all’Aventino

In una bella esortazione rivolta ai membri del Comitato di coordinamento del Celam, il Consiglio episcopale Latinoamericano, il Santo Padre affermò: «Il vescovo sia un pastore vicino alla gente, non spadroneggi né abbia la psicologia del prìncipe, ma ami la povertà esteriore e interiore» [cf. QUI]. La povertà, evangelicamente intesa, che sotto certi aspetti è parente stretta dello spirito di penitenza, non è però esteriore, ma tutta interiore, stando a quanto afferma Cristo Dio: «Quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» [cf. Mt 6, 17-18].


abito da cardinale
abito corale cardinalizio

La recente storia dell’episcopato italiano è ricca anche di figure straordinarie di vescovi che in pubblico, sino alla loro estrema vecchiaia, si sono sempre presentati con la sobria dignità dei prìncipi della Chiesa; hanno vestito sempre abiti di stoffe pregiate e usato i migliori paramenti nelle loro chiese cattedrali. Solamente dopo la loro morte s’è scoperto che ogni soldo che entrava dentro le loro tasche usciva poco dopo per entrare in quelle delle famiglie più disagiate. E alla loro morte, le loro salme, sono state rivestite coi loro migliori abiti e paramenti, ed essi erano tutto ciò che a loro restava, perché nella loro cassa completamente vuota non avevano lasciato neppure il danaro per le spese del proprio funerale. Potremo dire altrettanto, in un vicino futuro, di quella classe di nuovi vescovi che da una parte sono rivestiti di acrilici dozzinali, che gareggiano nello sfoggio della croce pettorale di legno più “umile”, ma che al tempo stesso si preparano il super attico o il pregiato rustico in campagna nel quale ritirarsi a quieta vita da vescovi emeriti? Conosco personalmente un vescovo che è un trionfo di paramenti sacri da mercatino dell’usato, che procede col pastorale di legno, la croce pettorale di legno al collo, che non vuole essere chiamato “Eccellenza” ma “Padre”, il quale di recente ha regalato 10.000 euro di paghetta al proprio sfaticato nipote che, alla tenera età di 32 anni, dopo otto anni di fuori-corso si è infine laureato. E qui è il caso di dire: … e detto ciò mi fermo senza procedere oltre con altri esempi penosi legati a quegli odierni vescovi corrispondenti esteriormente agli stili pastorali del Santo Padre Francesco.


mano vescovo
quando ci si inchinava con devozione a baciare la mano alla pienezza del sacerdozio apostolico dei nostri vescovi, anziché battergli le mani sulle spalle e accoglierli a suon di schitarrate al canto «sei uno di noi» …

Il Santo Padre Francesco ha dato da subito delle precise e chiare direttive per la selezione dei nuovi vescovi ch’egli vuole corrispondenti a certi “schemi”, con tutto il rischio che questo può comportare, visto e considerato che un vescovo non deve essere conforme alla “moda” di uno schema, ma alla grazia di Dio e alle azioni che da essa promanano. Ma c’è di più: il Prìncipe degli Apostoli non è mai stato incaricato da Cristo di creare dei duplicati a sua immagine e somiglianza, bensì ad esaltare in Cristo il mistero della nostra immagine e somiglianza con Dio. E per capire queste ovvietà, non occorre affatto essere un papa teologo, basta solo del semplice e basilare buon senso pastorale. Il problema, quindi, dovrebbe essere quello di dare buoni vescovi alla Chiesa; che siano buoni come li vuole Cristo, non come “li voglio io”. Che corrispondano a precisi schemi di grazia divina, non certo a quelle mode tanto ben raffigurate da Severino Boezio: «Le forme esteriori sono come i fiori di campo, che appassiscono e mutano al cambio di stagione».


croce tau
gli attuali modelli francescaneggianti di croci pettorali dei nuovi vescovi-gattopardi della Chiesa povera per i poveri, prodotti ormai non più da abili orafi di vecchi mestiere, ma direttamente dai falegnami

Attraverso questa nuova infornata di “Vescovi poveri per i poveri ”, il Santo Padre vuole indubbiamente lanciare un messaggio alla Chiesa italiana che a suo parere merita forse una lezione del tutto particolare. Ciò che al Santo Padre va’ riconosciuto è la sua ammirevole audacia e lo spirito del generale condottiero pronto a governare e all’occorrenza a imporsi, come poi del resto dovrebbe essere. Temo però che gli sfugga un elemento che un giorno potrebbe risultare anche fatale: gli italiani ― noti anche come gattopardi, non solo in Sicilia ma in tutta la nostra penisola ―, sono molto più antichi e smaliziati degli argentini; e la Chiesa italiana precede di secoli e secoli la nascita della stessa Compagnia di Gesù. O come dissi anni fa a un giovane sacerdote argentino convinto di poter imparare il tedesco in poche settimane: «Vedi, caro Confratello, il tedesco è una lingua che per la sua struttura e per la sua pronuncia, merita perlomeno un minimo di riverente timore». E ovviamente, da buon argentinocentrico, non imparò mai il tedesco, ma non per colpa sua, la colpa risultò poi esser tutta quanta della lingua tedesca.


chiesa tedesca soldi
nessuno ha ancora informato il Santo Padre che quella tedesca è da sempre considerata la Chiesa più ricca del mondo?

La psicologia ecclesiastica italiana merita forse anch’essa ― non dico “riverente timore” ― ma totale prudenza, perché sia come popolo, sia per costumi sociali, politici ed ecclesiastici, noi siamo i maestri indiscussi dei voltagabbana e dei trasformisti; siamo gli imbattibili specializzati a cantare sulle note della stessa banda i più disparati inni politici diversi, perché siamo anticamente e pericolosamente italiani. E forse, qualcuno, si è già messo in testa che a raggirare un “giovane” e appassionato argentino sia tutto sommato un gioco da ragazzi; un gioco, per l’appunto, all’italiana.
Viene infine da domandarsi se i figli della Chiesa italiana sono, in quanto tali, figli di un dio minore. Per esempio rispetto ai tedeschi. Come mai, in Germania, contrariamente a quanto sta accadendo in Italia, non vengono imposti e moltiplicati certi tipi di vescovi corrispondenti a quei “criteri pastorali” amabilmente “imposti” dal Santo Padre Francesco? E se parliamo di spirito principesco o ancor più di spirito feudale, pur con tutto il loro romanofobo progressismo del caso, ben sappiamo quanto i tedeschi superino in ciò di gran lunga gli italiani; e non entriamo neppure nel discorso della sfacciata ricchezza della Chiesa tedesca, o del gettito fiscale di cui beneficia, a confronto del quale l’Otto per Mille italiano è poco più che un obolo.


cardinali tedeschi
un gruppo di cardinali tedeschi, al centro l’Arcivescovo Metropolita di Monaco di Baviera

Forse i tedeschi sono considerati dalla psicologia argentina dell’uomo Jorge Mario Bergoglio dei figli di un dio maggiore, perché a nessuno è ancora passato per la testa di imporre in una diocesi della Germania un parroco proveniente dalle “periferie esistenziali” che abbia trascorso il suo ministero, per davvero o per finta, a servire i pasti agli immigrati, od a fare pastorale di evangelizzazione tra le prostitute di Amburgo. E infatti, i vescovi tedeschi seguitano tutt’oggi ad avere biglietti da visita che si aprono in quattro facciate per poter contenere al loro interno tutti i titoli accademici specialistici, i dottorati, la lunga sequela di master post-dottorato, le loro pubblicazioni scientifiche e via dicendo. Da questo ne dobbiamo dedurre che certi criteri del Santo Padre, come quello che segue riportato, siano applicabili solo ai figli del dio minore, là dove egli indica i criteri di selezione dei nuovi vescovi:
«È un gran teologo, una grande testa: che vada all’università, dove farà tanto bene! Pastori! Ne abbiamo bisogno! Che siano, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da prìncipi, che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato» [cf. QUI].


bastone e carota
all’episcopato italiano il bastone a quello tedesco la carota …

Insomma, ai tedeschi la carota agli italiani il bastone, posto che è un errore sia l’una sia l’altro, ma soprattutto, l’errore di fondo, sta nella valutazione: i tedeschi, nel corso del tempo, hanno perso tutte le guerre, per questo stanno tentando di vincere la “guerra economica” sulla pelle dell’Europa, che alla fine non vinceranno, perché la perdita fa parte del loro antico desiderio inconscio collettivo di “espiazione”. Gli italiani, alla resa dei conti, le guerre le hanno vinte anche quando hanno apparentemente perso, saltando come atleti insuperabili da un carro all’altro, oggi con la croce d’oro al collo, domani con quella di legno, perché la pasión de fuegodei vari Bergoglio, arriva, brucia e passa, ma la romanità cattolica e papista e l’italianità cristiana rimane, con tutto il più sincero rispetto per … Don’t cry for me Argentina, non piangere per me Argentina [cf. video di Evita Peron,QUI].
Ecco che cosa vuol dire, ed ecco quale sostanziale differenza corre tra l’essere un vecchio italiano ed essere invece un giovane argentino, sicuro in buona fede e con le migliori intenzioni di poter inaugurare dalla sera alla mattina, sulla tomba del Principe degli Apostoli, custodita da due millenni dalla Chiesa italiana per la Chiesa universale, una Chiesa da telenovela sentimental-pauperista, dove per esigenze di regia, accettate da molti attori per puro tornaconto personale, persino i ricchi fingono di essere poveri per compiacere il nuovo regista. O per dirla in altri termini: persino per un Sommo Pontefice può essere molto rischioso giocare coi vecchi e pericolosi gattopardi italici. Che allora, perlomeno, il Santo Padre Francesco impari dalla storia più recente, quella del suo predecessore, il quale, i pericolosi gattopardi, li conosceva bene, dato che dentro la curia romana c’è vissuto per quasi mezzo secolo, ma pur malgrado, il doloroso epilogo, è stato quel che è stato …


papa e ciotti
Il Santo Padre e Don Luigi Ciotti –  Se proprio ci tiene a dargli la mano, che gliela dia in faccia per sottrarli al proprio indomabile ego e richiamarli ai loro autentici doveri sacerdotali [cf. QUI]

Essere ascoltati o farsi ascoltare da una testa antropologicamente dura come quella dell’uomo Jorge Mario Bergoglio non è cosa facile e può comportare seri rischi. Se però il Sommo Pontefice viene buggerato a questo modo sotto i nostri occhi, forse sarebbe il caso di provare almeno ad avvertirlo. Due neo vescovi cresciuti da teologi di discutibile dottrina, allevati a pane&Rahner e infarciti del meglio del peggio degli autori della Nouvelle théologie. E questi vescovi, domani, favoriranno la nomina di vescovi tali e quali a loro; dei soggetti che senza ritegno e pudore si sono già lanciati nel loro sfrenato corteggiamento. Per questo affermo: coloro che sono vicini al Santo Padre e gli possono parlare ed esprimere opinioni, non avvertendolo di questi pericolosi errori di valutazione e di scelta, non spiegandogli quali nomine i gattopardi lo stanno inducendo a fare dietro la lusinga del candidato ideale in quanto dedito anima e cuore ai poveri, finiscono col cadere nel grave peccato di omissione, recando grave danno alla Chiesa e un danno assai maggiore alla propria anima immortale, visto che di questi tempi, le strade dell’Inferno, rischiano d’esser lastricate di vescovi, di cardinali e di preti “poveri per i poveri” che si sono furbescamente lanciati nella carriera ecclesiastica in modo parecchio più spregiudicato di quanto accadeva in precedenza, essendo ancor più mediocri e ancor meno cattolici di quelli che li hanno preceduti.
Diceva uno dei personaggi de Il Gattopardo: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Detto questo aggiungo: si può essere Sommi Pontefici, si può essere argentini furbi veri o presunti, si può essere gesuiti col serpeggiante complesso dell’avere una marcia di scaltrezza in più rispetto agli altri, si può essere tutto ciò che si vuole, ma per difendersi dei pericolosi e antichi gattopardi, bisogna conoscerli e saperli combattere con le armi della santa prudenza e della santa sapienza, altrimenti un giorno, voltandosi attorno, si scopre d’improvviso d’essere stati rinchiusi a chiave dentro una gabbia, senza neppure sapere come sia stato possibile finirci dentro.
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gattopardi
Il gattopardo, opera del letterato italiano Giuseppe Tomasi di Lampedusa

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