martedì 8 marzo 2016

nuove norme per la confessione

La confessione a gesti...
di don Alfredo Morselli
 
 
 

Ieri sera, seduto in poltrona guardando il SS. Sacramento dalla porta aperta della cappellina invernale (l'artrosi mi impedisce di inginocchiarmi) avevo iniziato Compieta, l'ultima ora del breviario.
 
Come spesso mi capita, mi sono involontariamente appisolato, e... ho fatto uno dei miei soliti sogni…
Sento il bip di Whatsapp, e vedo una notizia sconvolgente … Magister punito con scomunica riservata al Sommo Pontefice. Clicco sul link e mi appare la pagina dove l'impenitente e recidivo giornalista, non pago di avere anticipato l'enciclica ecologica, aveva reso noto l'istruzione Gestis et misericordia ancora in embargo, ovvero le indicazioni per ricevere la confessione -  con gesti o con silenzi eloquenti - di coloro che si vergognano di accusare i peccati, giacché ad impossibilia nemo tenetur.

Ecco qua una sintesi delle nuove rubriche: 
Il penitente entra in confessionale e fa l'occhiolino al confessore, pronunciando "nc"; il confessore risponde "ah va bene", e fa l'occhiolino anche lui.
I peccati di gola vanno accusati leccandosi le dita e di dicendo "mmmmm, slurp"
Il confessore fa un cenno che ha capito (e così tutte le volte)
Per il furto si apre la mano destra facendola roteare e chiudendo le dita sulle punte.
Se ha ecceduto in auto con la velocità, il penitente dice "Broom, broom".
Ma adesso arriva il sesto comandamento; le rubriche qui sono in latino, nel caso capitassero in mano a rudi immaturi.

Riassumo: il penitente, se uomo, dice "Sa Padre, siamo tutti uomini"; se donna canticchia "Sono una donna non sono una santa" di Rossana Fratello.
Il confessore risponde "Ehh cosa vuoi che sia..." ammiccando e strizzando l'occhiolino, facendo vedere che ha capito.

Assolutamente vietato mimare ogni atto impuro etc.
A quel punto il breviario, scivolando fino a terra, mi sveglia; mi vennero allora in mente alcune considerazioni:

1. Come l'ha inventata bene il Padre eterno! Nella Confessione, il perdono è gratuito e senza condizione, ma l'umiliazione e la vergogna ce lo fanno meritare un po'.
Si realizza il con me del versetto paolino "non io ma la grazia di Dio che è con me" (1 Cor 15,10).
Il buon Dio non ci tira dietro il perdono sola gratia, ma ce lo fa meritare un po'.

2) Come era utile la grata dei vecchi confessionali, che davano bene l'idea che la confessione non è una chiacchierata col parroco, ma un immergersi nel Sangue di Cristo; e il confessore non è don Tizio o don Caio, ma Gesù stesso; e chi si vergognava, non vedendo e non visto dal confessore, era facilitato a vuotare il sacco.

3) Il penitente non è un deficiente che non ce la fa, ma un fratello da condurre in vetta, proponendogli grandi cose con l'aiuto della grazia.

4) Ad impossibilia nemo tenetur non esiste nella morale (cioè considerando ciò che Gesù ci chiede con l'aiuto della sua grazia), perché Tutto posso in colui che mi conforta (Filip 4,13). Il confessore poi ha le grazie di stato per capire la difficoltà del penitente: potrebbe esserci una difficoltà psicologica oggettiva. Ad impossibilia può applicarsi a un nevrotico, a un malato, a casi particolarissimi di persone molto timide, ma non come norma per persone normali

5) Come diceva S. Carlo Borromeo, meglio arrossire un po' di qua che di là in eterno.

6) La confessione senza l'accusa, ovvero senza rendere comprensibili al confessore i peccati mortali commessi, è invalida. Mancherebbe una pars integralis della materia della Confessione

7) Diceva S. Giovanni Paolo II, nell'esortazione Reconciliatio et poenitentia:
"L'accusa dei peccati appare così rilevante, che da secoli il nome usuale del sacramento è stato ed è tuttora quello di confessione. Accusare i propri peccati è, anzitutto, richiesto dalla necessità che il peccatore sia conosciuto da colui che nel sacramento esercita il ruolo di giudice, il quale deve valutare sia la gravità dei peccati, sia il pentimento del penitente, e insieme il ruolo di medico, il quale deve conoscere lo stato dell'infermo per curarlo e guarirlo. […] Ogni peccato grave deve quindi essere sempre dichiarato, con le sue circostanze determinanti, in una confessione individuale. [...] Con questo richiamo alla dottrina e alla legge della Chiesa intendo inculcare in tutti il vivo senso di responsabilità, che deve guidarci nel trattare le cose sacre, le quali non sono di nostra proprietà, come i sacramenti, o hanno diritto a non essere lasciate nell'incertezza e nella confusione"
Conclusione: carissimo vescovo, come confessore accolgo i Vostri paterni richiami a rendere il sacramento un vero incontro con la Misericordia, ma non amministrerò mai una confessione invalida.
 
 
 
 

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