lunedì 20 giugno 2016

rinnovata ebbrezza dello “spirito”

L’èra dello “spirito”




don Elia.
La visione gnostica della storia la pensa come un inarrestabile progresso interno, come un processo mosso dal di dentro e articolato in fasi successive delle quali ognuna rappresenta il superamento delle precedenti ed è destinata ad essere a sua volta superata da qualcosa di ancora migliore. Tale, per esempio, era la tesi dell’abate cistercense Gioacchino da Fiore († 1202), che parlava di tre età, una del Padre, una del Figlio e una dello Spirito Santo. Inutile dire che l’ultima, la più perfetta, doveva coincidere proprio con la diffusione delle sue teorie, purtroppo condannate – come sempre per l’opposizione dei potenti, attaccati allo statu quo! – dal Concilio Lateranense IV (1215). A parte il crasso errore in materia di teologia trinitaria (le tre Persone non agiscono mai indipendentemente e come in concorrenza, poiché condividono la stessa natura e compiono sempre, insieme, un’unica e medesima operazione), è ovvio che chiunque potrebbe svegliarsi un mattino e pretendere che le sue folgoranti intuizioni diano inizio a un’èra nuova…

Ma provate un po’ a porre sullo sfondo di questi antichi vaneggiamenti (peraltro seguiti, a suo tempo e non solo, da ampie fasce del francescanesimo) l’attuale morbosa insistenza sulle sorprese dello spirito, le novità dello spirito, la libertà dello spirito … senza ulteriori specificazioni, visto che il termine santo potrebbe urtare la suscettibilità di atei e diversamente credenti. Che stia finalmente cominciando l’èra nuova tanto attesa? Una volta relegati nell’oblio i Comandamenti del Padre e aggiornato il Vangelo del Figlio, ci stiamo avvicinando a larghi passi alla perfezione. Vangelo e Comandamenti non erano altro che espressioni imperfette appartenenti a fasi provvisorie della storia di salvezza, la quale – sia ben chiaro – è ancora incompiuta e non ha affatto raggiunto il culmine con la morte e risurrezione di Gesù, ma ci riserva ben altro, in una “sinfonia” di religioni e credenze contraddittorie che convivano armonicamente e collaborino per salvare il pianeta.
 
In fin dei conti, la Croce separa in quanto simbolo di insensati conflitti religiosi, l’Immacolata con la mezzaluna sotto i piedi è troppo politicamente scorretta, l’idea stessa di peccato è terribilmente ingiusta nei confronti di tutto il bene che si trova nell’uomo, che va sempre e comunque rispettato, ammirato e sostenuto – anche nel male e nell’errore – con affetto e simpatia. Tutte queste cose – compresi i princìpi della logica – sono soltanto immagini e rappresentazioni di valori appartenenti a fasi storiche ormai superate, esaurite, scadute, che vanno inevitabilmente sostituiti dai nuovi valori dell’inclusione, della tolleranza, dell’armonia … senza pretendere di definire chiaramente alcunché, naturalmente, perché questo provocherebbe divisione, esclusione e ottuso arroccamento sulla difesa della “propria verità”. Gli unici esclusi da codesta tolleranza universale, ovviamente, sono quei pochi che si permettono di far notare la palese assurdità di siffatto discorso.

È il discorso, d’altra parte, che gran parte della gente non aspettava altro di sentire, onde liberarsi la coscienza dall’opprimente peso della tremenda responsabilità di aver rinnegato la fede e respinto l’incommensurabile grazia di essere stati scelti come membri della Chiesa. Quanti attendevano il fatidico “tana-libera-tutti”, come se la vita fosse un’interminabile gioco infantile! Beninteso: nel senso del fanciullino del Pascoli o dell’infanzia spirituale di santa Teresa di Lisieux, ben venga; ma non sembra che l’andazzo attuale abbia molto in comune. Bisognerebbe riprendere in mano il Vangelo, ma non c’è tempo; troppo occupati a navigare nei pettegolezzi e nella pornografia. Ma chi siete voi per giudicarmi? Tutto è lecito per chi è entrato nella nuova èra; chi ancora si attarda a distinguere tra comportamenti buoni e cattivi non è altro che un odioso fariseo.

Mentre l’Occidente affoga nel pus della sua cancrena morale, i singoli individui si ubriacano di un’apparente libertà senza confini che li degrada a un livello subumano, incapaci di riflettere e di riconoscere la mano tesa a tirarli fuori. Nei rari casi in cui se ne accosti una, molti preferiscono azzannarla piuttosto che aggrapparsi ad essa: la seconda scelta sarebbe sì la più ragionevole, ma richiederebbe troppo sforzo; meglio insultare chi porge la mano e continuare a sprofondare. E poi, ci sono tanti altri ministri di Dio, ben più moderni, da cui si può ottenere rassicurante conferma senza cambiare una virgola della propria condotta; essi stessi, anzi, sembrano supplicare i fedeli di considerarli in tutto come loro e fanno ogni sforzo per diventarlo effettivamente. La deprecabile ascesi di un tempo – quello ormai superato, appunto – forgiava sacerdoti e religiosi che si distinguessero dagli altri per rigore, pietà e disciplina, così da poter esser loro di esempio. Ora il discorso è semplicemente invertito: si apprezzano i consacrati – uomini e donne – che facciano esattamente le cose che fanno tutti. Visto il livello della moralità generale…

In questa rinnovata ebbrezza dello “spirito” o “nuova pentecoste”, essere come gli altri è somma virtù; con giovani e adolescenti il successo è assicurato. Il problema è stabilire fino a che punto si può essere e agire come gli altri; ma anche questa, in fondo, è una preoccupazione tipicamente farisaica. In questa nuova èra, infatti, tutto è buono; gli eventuali comportamenti socialmente inadeguati hanno sempre una spiegazione di natura socio-psicologica che li rende comunque non condannabili. Qualsiasi condotta o situazione esige di essere capita, rispettata, accompagnata, come inculcato dai mantra del neo-magistero; dal non giudicare il peccatore (che, se ostinato o ribelle, va alla fine giudicato e corretto) si è passati al non giudicare il peccato. Ma no, il peccato non c’è più! È finito con la vecchia èra della legge e della grazia; non c’è più nemmeno bisogno del perdono. Anche la religione si evolve, come autorevolmente insegnato da Erich Fromm in quell’Arte di amare che, negli anni Settanta, fece furore in seminari e conventi; è citata perfino nell’A.l. A nuovi tempi, nuovi maestri: non più teologi e santi, ma psicanalisti.
«Mai il male ha assunto caratteristiche tanto vaste e apocalittiche, mai abbiam conosciuto altrettanto pericolo. Da un’ora all’altra noi possiamo perdere non la vita soltanto, ma tutta la civiltà e ogni speranza. Sembra che anche a noi il Signore dica “non è ancor giunta la mia ora”, ma l’Immacolata, la Madre di Dio, la Vergine che è l’immagine e la tutela della Chiesa, Essa ci ha dato, già a Cana, la prova di saper e poter ottenere l’anticipo dell’ora di Dio. E noi abbiamo bisogno che quest’ora venga presto, venga anticipata, venga resa immediata, poiché quasi potremmo dire: “O Madre, noi non ne possiamo più!”. [...] Dica Maria, come a Cana: “Non hanno più vino”; e lo dica con la stessa potenza d’intercessione e, se Egli esita, se si nega, vinca le sue esitazioni come vince, per materna pietà, le nostre indegnità. Sia Madre pietosa a noi, Madre imperiosa a Lui. Acceleri l’ora sua, che è l’ora nostra. Non ne possiamo più, o Maria. L’umana generazione perisce, se tu non ti muovi. Parla per noi, o silenziosa, parla per noi, o Maria!» (Cardinale Alfredo Ottaviani, Il baluardo, Roma 1961, 279-283). 

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