mercoledì 16 novembre 2016

ad ogni PECCATO corrisponde un CASTIGO

De castigo et misericordia Dei
 


(ancora un po’ di pazienza)
Entra ora in scena san Bonaventura da Bagnoregio. Nel “Commentarius in Evangelium S. Ioannis”, afferma che se è vero – come è vero – che ad ogni peccato corrisponde una pena, non è sempre vero che ad ogni pena corrisponda un peccato (c. IX).

Qua il Dottore interpreta il celebre passo del cieco nato: «Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio […]» (Gv 9, 2-3).


Eppure, san Bonaventura mette subito in chiaro che il Gesù del cieco nato è quello stesso Gesù che aveva detto al malato di Betesda: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio» (Gv 5, 14).
Perché allora Gesù ha parole tanto diverse per il cieco nato e per il malato di Betesda? Come risponde il santo di Bagnoregio a questa apparente contraddizione?


Innanzi tutto egli spiega la frase dei discepoli: «Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Essi – dice Bonaventura – supponendo che «la sapienza divina non infligge una pena senza colpa, chiedono in che consistesse tale colpa». E, in effetti, i discepoli «avevano capito bene, ma ora ponevano male la domanda». La domanda quindi non è oziosa: Dio commina davvero la pena ai peccatori. E allora?

Dice Bonaventura che «la punizione del peccato può avvenire in due modi: uno temporale, l’altro eterno». Dio, cioè, castiga il peccatore in questa vita e nell’altra.
 

E ancora, ogni male che Dio permette ha due cause: «c’è una causa sine qua non [senza la quale non c’è l’effetto], quando ogni pena ha nella colpa la sua causa, dimodoché, se non ci fosse colpa, non ci sarebbe pena alcuna». Ma «c’è anche una causa meritoria, per cui non ogni pena è prodotta da una colpa; e di questo caso parla il Signore», nella vicenda del cieco nato.

Anzi – chiarisce Bonaventura – ci sono vari motivi per cui Dio infligge le pene:
1) «Talvolta le pene vengono inflitte per il peccato commesso» (malato di Betesda);
2) «altre volte per provare la virtù e renderla manifesta» (Giobbe, Tobia).
3) «altre volte ancora per conservare la virtù» (Satana che schiaffeggia s. Paolo);
4) «altre volte per decisione del divino consiglio» (passione e morte di Cristo);
5) «altre ancora perché sia manifestata la divina potenza» (questo caso del cieco nato).


È quindi evidente che Dio permette un male o infligge una pena per vari motivi: punire una colpa, manifestare la sua potenza, aumentare o conservare la virtù. È altrettanto evidente che, anche nelle pene che coinvolgono più persone, varie possono essere le cause: per Sodoma il peccato attuale, per la morte fisica di tutti il peccato originale.

Quanto ai terremoti, o agli altri disastri naturali, resta il mistero, perché c’è di mezzo la sofferenza dell’innocente. A meno che, però, un santo non chiarisca la causa, per illuminazione divina, come ad esempio Sant’Annibale Maria di Francia che, dopo il terremoto che colpì Messina, chiamò il popolo a conversione.


Non è comunque mai sbagliato chiedere sempre perdono a Dio, specialmente di fronte ai misteri dei giudizi di Dio.
 

Ripeto quanto ho già scritto:
Sono da scartare due visioni di Dio, mai ammesse nella Chiesa. La prima è il modello del Dio vendicatore e sadico: un Dio di pura giustizia. La seconda fa riferimento a un Dio completamente sganciato dalle forze della natura, come se ci fosse qualcosa fuori del controllo della Provvidenza: è l’immagine di un Dio di pura misericordia.
 

La Chiesa ha invece sempre predicato un Dio d’infinita giustizia e d’infinita misericordia, la cui unica volontà è di comminare la misericordia, ma che commina la giustizia nei modi e nei tempi che solo Lui conosce.
Silvio Brachetta

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