giovedì 5 gennaio 2017

grazie per per la vita che ci doni

Te deum laudamus per la vita che ci doni

 



Paola Cevasco è la mamma di Marco Gallo, diciassettenne brianzolo prematuramente scomparso nel 2011. È da pochi mesi in libreria Marco Gallo. Anche i sassi si sarebbero messi a saltellare, libro che ne racconta la storia e raccoglie i pensieri.
 
Non ho mai amato i miei compleanni. Né tanto meno le vuote ricorrenze, capodanno, carnevale, in cui bisogna essere festosi per forza. 
Troppo bruciante lo scorrere del tempo.
Poco tempo fa era il mio cinquantesimo compleanno. Temevo questo giorno. 
In particolare ora che sono una madre con un figlio morto ragazzo. 
Ragionando come si ragiona: perché questi giorni a me e non a lui? 
Quanto sarà ancora lunga la mia attesa prima di rivederlo?
Invece mi sono ritrovata la sera commossa, grata della vita che il Signore mi dona. Mi sono ritrovata grata della presenza del SIGNORE, che è con me ed è con Marco. Grata perché “TU, devicto mortis aculeo, aperuisti credentibus regna coelorum”, perchè Tu, vinta la forza della morte, ci hai aperto le porte del cielo: questa è la ragione principale della mia gioia. Perché tutto il desiderio che noi siamo non finisce nel nulla. Persino il nostro corpo, sebbene subisca ora la corruzione, tornerà vivo. Mi sono ritrovata grata di esistere per il tempo che il Signore vorrà.
Rileggendo l’inno del Te Deum, la parola che ricorre come cardine di ogni frase, è “Tu”: è sua la grande compagnia nelle pieghe della realtà, nello scorrere del tempo e nell’eternità.
Scriveva la mia amica Claudia, gravemente malata: «Io non sto facendo niente tutto il giorno, mi posso considerare un parassita della società. La mia esistenza ha senso solo perché mi faccio volere bene da Gesù. Ma ti rendi conto? Questo fatto in sé, anche senza che io muova un dito, permette ad ogni cosa di essere al suo posto».
Così il tempo che passa “per singulos dies” invece di essere dispersione, è una possibilità ricevuta ogni giorno di amare liberamente.

Come un bambino per provare i suoi primi passi decide di staccarsi dall’appoggio che sembra sicuro, ma che in realtà lo condannerebbe a non imparare a camminare se lui non osasse mai staccarsi, così noi ogni giorno possiamo avventurarci tra quanto succede all’incontro col Mistero presente.
“Dignare, Domine, die isto sine peccato nos custodire.”
Sostienici oggi nei nostri passi, perché lo sai, noi cadiamo. “Sine peccato”: è la resurrezione ora, è un atto puro ora, che certo sappiamo non viene da noi, ma da TE, regalato, attraverso noi.


“Salvum fac populum tuum, Domine”.
Ci fai vivere in un popolo: che tenerezza che la divinità sia così feriale, sia tra noi, che tu prenda noi e ne faccia delle persone grate perché Tu ci sei.

“Io ti ringrazio sconosciuta compagnia” scriveva il mio Marco accanto a una foto dei suoi conosciutissimi amici: alcuni conosciutissimi amici di cui ognuno di noi sa, come sappiamo di noi stessi, limiti e tradimenti, come li sappiamo di Pietro, eppure che sono, anche loro, Chiesa, “la pienezza di Colui che si realizza interamente in tutte le cose”, sono il mantello di Gesù che noi possiamo toccare.
“Te Deum laudamus”.
Noi ti lodiamo, “noi”: grazie Signore della vita, del tempo e dell’eternità, perché ci hai messo in una famiglia, l’infinitamente piccolo che ha lo stesso sapore dell’infinitamente grande, dove noi bimbi possiamo divertiti camminare ogni giorno.

Qui di seguito pubblichiamo uno scritto di Marco contenuto nel suo libro.
Oggi ho ascoltato “Io non sono degno” e mi sono commosso.
Mi sono commosso, perché Claudio Chieffo ha comunicato in una canzone cos’è la vita.
Io non faccio altro che distrarmi, non fare i miei doveri, sputare sulla vita non gustandomela, bestemmiare sulla vita facendomi complessi, perdendo tempo; non lo dico con piacere ma con forte dolore: io non valgo nulla.
Ma il motivo per cui la mia vita ha senso è perché ci sei TU, l’ho capito.
Noi non ti meritiamo, non meritiamo una goccia del sangue di te. 
E invece, TU ci sei e mi ridesti ogni attimo, senza che io me ne accorga, 
Tu mi dai la bellezza, le persone, le risposte, 
Tu mi abbracci e ti dico grazie, un grazie inconsapevole, 
inconsapevole del tuo infinito amore, 
del valore che mi dai e dei modi in cui ti manifesti.

La bellezza della vita è che a noi, al nostro nulla, Tu ti contrapponi e ci costituisci, “io sono Tu che mi fai” (Padre Aldo). Per questo, la vita ha senso solo per tendere al tuo amore, che non finirà mai.
La commozione è consapevolezza del nostro nulla e in contemporanea della tua risposta, perché senza risposta sarebbe solo Dolore.
Tu ci abbracci.
Marco Gallo nasce a Chiavari (Genova) il 7 marzo 1994 da Antonio e Paola Cevasco. Trascorre i primi anni a Casarza Ligure assieme alle sorelle Francesca, maggiore di tre anni, e Veronica, minore di tre. Nel settembre 1999 la famiglia si trasferisce ad Arese (Milano) e l’anno successivo a Lecco, dove frequenta la Scuola elementare parificata “Pietro Scola”. Nel settembre 2007 Marco inizia il Liceo scientifico “Don Gnocchi” a Carate Brianza. Due anni dopo la famiglia va a vivere a Monza. Il 5 novembre 2011, mentre si reca a scuola, viene investito e muore. La sera prima aveva scritto sul muro della sua camera, accanto al crocifisso: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?»
Anche se la felicità è ciò a cui tutti aspirano, pochi vivono cercandola davvero. La felicità infatti può far paura perché costa e magari è diversa da come la si immaginava. Perciò Dio è paziente e ci aspetta. Ma ci sono anime che non ne possono proprio fare a meno, che ne sono talmente attirate, quasi il Signore avesse posto un sigillo su di esse, da essere disposte a passare nel fuoco pur di averla. 

“Scrivo prima Dio, perché è il Creatore”. Questa la prima, fra le parole imparate all’asilo, scritte da un bambino che, dopo un’esistenza spesa per rispondere alla sua sete, nascerà inaspettatamente al cielo all’età di 17 anni il 5 novembre del 2011. La storia di questo bambino, poi adolescente, è raccontata nella sua biografia (scritta da lui quando era in vita e curata dalla famiglia) appena pubblicata da Itaca “Marco Gallo. Anche i sassi si sarebbero messi a saltellare”. Il titolo viene da uno dei commenti che Marco fece alla poesia di Eliot sul viaggio dei re Magi, quando a solo 11 anni pensava così alla ricerca travagliata di Gesù da parte dei Re Magi: “Per me le grandi difficoltà sono state fatte e pensate da Dio non per crudeltà… ma per vedere se amavamo veramente Gesù, se eravamo veramente disposti a rischiare di morire per conoscere Gesù”.
 
Marco fin da piccolo era così. E, fin da piccolo, era attirato dalle anime come la sua. Nel volume, che contiene tutti i suoi scritti di una vita insieme ai racconti di quanti lo hanno conosciuto, c’è un passaggio su San Benedetto, messo nero su bianco quando ha appena 9 anni. Marco è affascinato da una fede e una posizione umana che poi diverrà la sua: “Benedetto guardava attentamente ogni fatto che gli succedeva…lui era attento perché convinto che Dio gli parlava attraverso le cose”. Il bambino, però, capisce che non si tratta di uno sforzo di interpretazione o di una comprensione intellettuale di Dio.
 
Della vita di Francesco Saverio, infatti, lo colpisce l’inziativa divina che cambia in un minuto la vita del santo: “Aiutami Signore - scrive nello stesso periodo - a trovare quel minuto”. Fin da piccolissimo descrive la bellezza della natura, della casa, del cibo e degli amici, nei diari e nelle poesie, lodando Dio con una capacità incredibile di far immedesimare il lettore. Alla fine della terza media comincia a comprendere con una profondità inusuale per un ragazzino che per ottenere il massimo è necessario il sacrificio: “E’possibilissimo soffrire il dolore del sacrificio e contemporaneamente essere felici”. E capisce che la vita comoda proposta dal mondo, per lui fatta di cartoni, computer e giochi, non gli basta. Marco freme per non perdere tempo, tanto da parlare così a un amico, quasi come un presagio: “Non ragionare secondo il teorema la vita è lunga, perché ti accorgerai che è molto breve”.
 
Ma quando poi si iscrive al liceo scientifico, presso il Don Gnocchi di Carate Brianza, il giovane comincia a sperimentare la sua impotenza e l’incapacità di compiere da sé quel desiderio e di mantenerlo desto. Tanto da ricordare che i primi due anni di superiori erano passati alla rincorsa dell’amicizia come idolo: “Felicità = amici = uscire sabato sera…che era il mio nuovo idolo”. Realizza che il suo giusto bisogno di compagnia, non trovando una risposta adeguata, si era ridotto e che quindi lui si stava accontentando: Marco non sapeva come uscirne, finché non accadde un incontro con una persona felice che può aiutarlo a non abbassare il tiro. E se sapeva che “il gusto della vita non è precluso a chi sbaglia, ma a chi ignora il senso dell’infinito, il legame tra quello che è qui e il destino” si rende poi conto che “in questo percorso, bisogna non essere soli, non basta che uno ci mette il cuore”. Due anni prima di morire il giovane si concentra quindi sul metodo (interamente riportato nel libro) che sta scoprendo “per vivere pienamente la vita, per rispondere alle domande ultime; scritto per i giovani, raccontato da un giovane”.
 
Gli ultimi tempi della sua esistenza sono di una intensità incontenibile, da tutti i punti di vista. Marco non è esattamente un baciapile, perché la fede non gli interessa come forma ma in quanto risposta a tutta la sua umanità di cui non ha paura. Anche per questo va fuori dagli schemi, inventandosi, ad esempio, imprenditore comprando e vendendo cellulari americani su internet o persino costruendo esplosivi. Certamente non può fare a meno di pregare sempre, ma per lui la preghiera è un giudizio continuo e quindi un abbandono incondizionato a dove Dio lo vuole portare.
 
Gli amici vedono che Marco è un uragano di vita, che segue senza sosta ogni cosa o persona in cui Dio si rivela. Fino a non temere, per amore a quello che ha incontrato, di porsi anche di fronte ai responsabili di Gs (Gioventù Studentesca) del liceo, non accettando che le riunioni di Scuola di comunità (Sdc, la catechesi di Comunione e Liberazione) fossero pensate su numeri enormi. Lui è convinto che siano necessari gruppetti più piccoli, perché “il movimento si trasmette tramite uno sguardo, un’amicizia, una persona, che ti comunica, un rapporto personale”. In merito spiega a un’amica: “Farlo solo perché è la proposta (di chissà chi) mi sembra una puttanata”. Visto il suo amore i responsabili di Gs cedono, motivo per cui Marco non invierà la lettera sulla Sdc scritta per i responsabili ultimi: “Quello di cui ognuno di noi ha realmente bisogno non sono delle parole, dei postulati, il racconto di qualcosa di bello ma un abbraccio fisico, una presenza reale che avviene attraverso delle persone”.
 
Insomma, Marco è lontano da ogni formalismo, tuttavia i compagni non immaginano una tale profondità di rapporto con Cristo. Quello che il 19 marzo del 2011, circa sette mesi prima di morire, lo porta a decidersi definitivamente: “Da questo momento mi sacrificherò interamente alla ricerca della felicità e vedrò se la mia vera vita è in Lui o no”. E, consapevole che può essere aiutato a non decadere solo da un avvenimento presente che continua a riaccadere in momenti, persone e nella compagnia cristiana, aggiunge: “Forse alla radice stessa del movimento per ogni cosa vi è un risveglio causato da qualche avvenimento…da qualcuno. Certo, però, la libertà è la mia”.  E più avanti continua: “Non si può pretendere che nel momento in cui ci si sveglia subito, come una magia, il mistero accada. Già Dio non paga sempre, bisogna attendere…tutto quello che faccio è pregare…vieni ora, ora e qui!”. A fine estate, però, il suo amore per il Mistero si fa palese a tutti, perché Marco, pur consapevole del rischio di essere preso per un pazzo e di non essere capito, ne parla a tutti: “Non importa di cosa si tratti o con chi tratti al centro c’è Gesù…Non posso fermarmi”. 
 
Anche quest’anno, per la quinta volta, il giorno della festa dei santi centinaia di ragazzi colpiti dalla vita e dal sacrificio di Marco, culminato nella morte improvvisa in un incidente stradale, camminavano pregando in sua memoria verso il santuario della Madonna di Montallegro. Quel giorno qualcuno ha ricordato che i santi non sono uomini perfetti, tranquilli e senza difetti, ma persone con la fissa dell’eterno. Una fissa così grande da cercarlo dentro ogni più piccolo brandello di realtà. Allora si può dire che Marco, nato con questa smania di infinito, sia morto santo dopo un percorso di avvicinamento crescente a Dio. Fino al giorno in cui decise di arrendersi totalmente a Dio e sacrificare tutto per la felicità, appunto. 
 Autore: Benedetta Frigerio
Fonte: La nuova Bussola Quotidiana
Strada provinciale, che da Monza collega l'Alta Brianza. Una mattina piovosa come tante, a inizio novembre. Marco, uno studente di 17 anni, si sta recando con la sua moto a scuola, a Carate. Nei pressi di un semaforo si trova davanti un'automobile che sta uscendo, dalla destra, dal parcheggio di un negozio di arredamenti. Il ragazzo cerca di frenare, forse colpa dell'asfalto bagnato, non ce la fa e lo schianto è inevitabile. L'impatto è mortale, Marco non sopravvive. "Il corpo di Marco" dice Paola, la mamma "che era una potenza di vita, è stato così spezzato per un urto: non aveva un graffio, non un’escoriazione, neppure il suo zainetto o il suo casco, non una goccia di sangue versato, ma il suo collo invisibilmente spezzato". Invisibilmente. E' la parola chiave di una vicenda straordinaria, pur nel dolore immenso che essa contiene. "Come si dice madre senza figlio? Padre privato del figlio?... è indicibile" dice ancora Paola.
 
Indicibile è la seconda parola chiave di questa storia. Sì, è indicibile definire due genitori che perdono un figlio. Eppure nella morte di un ragazzo di soli 17 anni, nel pieno del vigore fisico e dell'entusiasmo per la vita, la vita rinasce, in modo "invisibile" e "indicibile". Chi scrive queste righe non ha mai conosciuto Marco Gallo di persona, conosce solo i suoi genitori. Ma dalla sua morte, è come se lo conoscessi da sempre. Sta accadendo così per molte altre persone. I suoi scritti, i suoi pensieri, alcuni dei quali letti solo grazie al padre e alla madre, custoditi come è giusto in questi casi gelosamente, spalancano a una amicizia che va al di là della vita e della morte, perché le contiene. Marco comunica, sta comunicando oggi più che mai a tutti quelli che si imbattono in lui. Accade così che è possibile diventare amici di qualcuno che in vita non si è mai conosciuto. D'altro canto è anche quello che aveva scritto lo stesso Marco in una sua bellissima lettera: era andato alla beatificazione di Giovanni Paolo II senza averlo ovviamente mai incontrato di persona. Da quel giorno invece "è come se fosse nato in me un prepotente desiderio di conoscerlo (…) È come se, finalmente, qualcuno mi abbia capito. Una comprensione che va oltre quella degli amici e delle persone che ho incontrato. Come se tutto il segreto della vita fosse racchiuso qui, in queste parole (spalancate le porte a Cristo)".
 
Ci sono segni evidenti, ci sono cose che accadono: "Stanno succedendo cose dell'altro mondo; perlomeno molto strane se uno proprio vuole continuare a pensare solo alle casualità" dice la madre. Pensando alla storia di Marco queste appaiono evidenti in un modo che sembra anche inquietante, tanto spacca le barriere della realtà come siamo abituati a considerarla. E' davvero la resurrezione, ma una Resurrezione cominciata ancora prima della morte stessa. La sera prima di morire, Marco aveva scritto a penna sul muro della sua camera da letto. Era rimasto colpito, segnato, dalla morte avvenuta la notte prima di Giovanni, studente universitario, amico di un suo carissimo amico, anche lui in un incidente di motocicletta. Marco aveva scritto: "Perché cercate tra i morto colui che è vivo?". Quella scritta è ancora lì, nella camera di Marco, a casa sua. Dice tutto. In modo invisibile e indicibile. In modo inaudito, per la nostra superficialità quotidiana di uomini e donne smarriti nella dimenticanza, privati del senso del Mistero. C'è di più, molto di più, invece. C'è il Mistero che accade. Pochi lo sanno percepire. Marco era sicuramente uno di questi privilegiati.
 
A rileggere oggi infatti alcuni scritti che Marco ha lasciato vengono i brividi. Difficilmente un uomo maturo potrebbe avere la stessa coscienza di fede che aveva questo ragazzo di 17 anni. Una coscienza della fede che nasceva da un desiderio irresistibile e implacabile di capire il significato del destino. Certo, Marco era cresciuto in una bella famiglia che aveva allevato e custodito questo desiderio. In una bella scuola circondato di ragazzi e professori che sostenevano questo desiderio. Ma Marco viaggiava molto più avanti di tutti gli altri, e forse per questo la sua corsa è finita - apparentemente - quella mattina di novembre sulla strada bagnata di pioggia. Il suo viaggio si era compiuto quando aveva scritto quella frase sul muro della cameretta; perché cercate tra i morti colui che è vivo?
 
Una volta Marco, a 16 anni, aveva scritto: "Il desiderio (…) non pensai mai di dirlo, ma il desiderio in sé è inutile. Avevo grande desiderio di felicità eppure passavo le giornate con lui accanto. Non è lui il protagonistanon la sua sola presenza causerà un’esistenza piena. Perché non la sera, né il mattino deciderò come adempirlo. Non saranno i programmi mattutini, né  la “riorganizzazione serale”. Entrambi servono, ma  a niente da soli. È  nell’istante in cui esso è suscitato, nell’istante in cui la sua presenza introduttiva si fa avanti, allora noi dobbiamo seguirlo con la nostra libertà: dobbiamo farlo atto, azione, gesto, talvolta rischio, dobbiamo farlo carne". Una consapevolezza, quella espressa in queste righe, che schianta chi le legge. Poi scriveva: "E allora giungerà una risposta. ma dove cercarla? Come un bambino segue l’aquilone, e come il giorno dopo, vuole rifarlo. Dobbiamo andare nei luoghi, ma soprattutto, dalle persone, che per un solo istante sono state sua risposta. Proprio come un poveretto va a chiedere i soldi: si, è umiliante, ma che altro fare? Suicidarsi o convertirsi? Ovvero Uccidere il desiderio o rivolger nel suo verso la nostra libertà?  Qui si tratta di moralità, ragazzi, si tratta di una posizione corretta, ma che attraversa la consapevolezza che merita di essere fatto, insomma si tratta di una naturale e propensa tensione verso qualcosa di bello. Non è moralismo, è qui voglio chiarirlo: il moralismo cristiano è ritenere che la grazia viene dopo un’adeguata preparazione morale, ma non è così, perché l’uomo è fallace, è la grazia che da la forza: - e quindi, cosa si spera di ottenere? “io sono amato, amici, e QUINDI faccio tutto.”Forse questo, essere amati.. e in tutte le circostanze tendere a una risposta.. forse si.. “in tutto”.
 
In un'altra occasione, pensando alla canzone di Claudio Chieffo Io non sono degno, aveva commentato: "MI sono commosso perché Claudio Chieffo ha comunicato in una canzone che cosa è la vita. Io non faccio altro che distrarmi, non fare i miei doveri, sputare sulla vita non gustandomela, bestemmiare la vita facendomi complessi perdendo tempo. Non lo dico con piacere, ma con forte dolore: io non valgo nulla. Ma il motivo per cui la mia vita ha senso è perché ci sei te, l'ho capito. Noi non ti meritiamo, non meritiamo una goccia del sangue di te E invece TU ci sei, e mi ridesti ogni attimo, senza che io me ne accorga, tu mi dai bellezza, le persone, le risposte, tu mi abbracci e ti dico grazie, un grazie inconsapevole del tuo infinito amore, del valore che mi dai (…). La commozione è consapevolezza del nostro nulla e in contemporanea della tua risposta, perché senza risposta sarebbe solo Dolore".
 
La storia di Marco è la storia piena di fatti, segni, coincidenze che non sono coincidenze, sono accadimenti che se messi insieme danno la mappa di un puzzle che messo faticosamente insieme dà un percorso. Una volta era partito in motocicletta dalla Liguria, terra dei suoi genitori, in motocicletta per arrivare a casa a Monza. Si era studiato tutto il percorso sulle cartine, senza passare dall'autostrada ovviamente perché era minorenne, poi da qualche parte, forse vicino a Brescia, si era perso e aveva chiamato il padre perché venisse a recuperarlo. Con entusiasmo e giovanile baldanza si era buttato in quella e cento altre avventure, alla ricerca della strada di casa, anzi della Casa. Con stupore di tutti, una decina di giorni dopo la sua morte, è addirittura il Cardinale di Milano Angelo Scola a ricordare Marco: lo fa citando una sua lettera mentre tiene la meditazione in Duomo sull'esperienza dell'amore al termine del ciclo di esercizi Spirituali d'Avvento. Il Mistero della esistenza umana. La Resurrezione che si manifesta. E' la storia di un dolore che può essere accolto, questa. Come dice ancora Paola, "Io capisco sempre meno, capisco che la misura del Mistero non è la mia e mi chiede tutto, e mi continuerà a chiedere tutto; percepisco però che questo Mistero mi abbraccia e in questo abbraccio io non sono persa, io posso viverci". Non cercate tra i morti colui che è vivo. Marco è più vivo che mai.
 
Autore: Paolo Vites

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