martedì 14 marzo 2017

in cielo: le anime

Ratzinger: la parola “anima” radiata dal nuovo messale romano





Un libro importante del 1977, Escatologia, rivisto dall’autore Joseph Ratzinger-Benedetto XVI nel 2006, quando ha impreziosito la riedizione con una aggiornata Premessa atta a spiegarne il lungo percorso. Leggiamo un passo dalla Premessa perché ci aiuterà a come interpretare e leggere il capitolo che andremo ad approfondire, inoltre veniamo così informati della grave crisi teologica interna alla Chiesa, inoltrandoci anche nella comprensione della nascita e sviluppo dell’enciclica di Benedetto XVI la Spe Salvi, i cui concetti restano gli stessi a fronte di una teologia sull’anima da riscoprire, rivalutare e ritornare ad insegnare.


Dalla Premessa
“Dalla prima edizione del volume sono passati 30 anni e nel frattempo il cammino della teologia non si è fermato. Nel momento in cui il libro fu scritto, due profondi capovolgimenti stavano coinvolgendo gli sviluppi riflessivi riguardo al tema della speranza cristiana.

La speranza veniva compresa come virtù attiva, come azione che cambia il mondo, azione dalla quale sarebbe scaturita una nuova umanità, un “mondo migliore”. La speranza divenne in tal modo politica, la sua realizzazione sembrava essere affidata all’uomo stesso.

Il regno di Dio, attorno al quale tutto il cristianesimo ruota, sarebbe diventato il regno dell’uomo, il “mondo migliore” di domani: Dio non sta “in alto” ma davanti… (..)

La crisi della tradizione, che nella Chiesa Cattolica assunse toni virulenti in corrispondenza del Vaticano II, portò all’esigenza di strutturare la fede partendo esclusivamente dalla Bibbia, prescindendo dalla tradizione. Si concluse allora che nella Bibbia non si trovava il concetto dell’immortalità dell’anima, ma solo la speranza della risurrezione.

“L’immortalità dell’anima” doveva essere congedata come platonismo, si era sovrapposta, dunque, alla fede biblica della risurrezione. Grazie ad una curiosa filosofia che stabiliva l’impossibilità della presenza del tempo al di là della morte, si spiegò che la risurrezione doveva avvenire nella morte stessa.
Questa teoria ha conquistato velocemente anche il linguaggio della predicazione, tanto che in molti luoghi la celebrazione di preghiera per un defunto è stata chiamata “cerimonia della risurrezione”.

0026-escatologia-ratzinger-2_55e2c6c669996Nella mia “Escatologia” mi ero confrontato con entrambe le correnti, senza dimenticare i temi importanti per un manuale, temi di tutta la Tradizione del credere, sperare, pregare, temi di cui la storia della Chiesa è ricca.

Per quanto riguarda il primo tema, mi sembrava importante che l’escatologia non si lasciasse ridurre a nessun tipo di teologia politica. Ho ritenuto di potermi limitare all’essenziale dando un’indicazione del problema e ho cercato di evidenziare il significato permanente della speranza nell’azione propria di Dio entro la storia, azione che sola concede all’agire umano la propria unità interna e trasforma dall’interno ciò che è transitorio in ciò che non passa.

Ma un confronto più preciso con la questione della risurrezione “nella morte” era indispensabile; tale confronto costituisce il contenuto del cap. 5 di questo libro.

È legittimo prima di tutto riconoscere come la Bibbia non proponga alcuna concettualità antropologica con valore conclusivo, piuttosto essa si giova di svariati modelli concettuali.

È giusto inoltre ammettere come per la Bibbia il concetto centrale di speranza significhi “risurrezione”. Ma è altrettanto sicuro che la Bibbia non conosce l’idea di una risurrezione “nella morte”, anzi la respinge espressamente (leggasi 2Tim.2,18). Essa conosce piuttosto l’ “essere presso il Signore” tra la morte e la risurrezione. (cfr. per esempio Fil.1,23).

Io avevo cercato di tratteggiare come l’elaborazione di una concettualità antropologica mediante il ricorso alla formula di corpo e anima, secondo cosa è avvenuto nella tradizione ed è stato dichiarato nel concilio di Vienna (DH902), sviluppasse in maniera appieno conforme il dispositivo dell’antropologia biblica.

Su questo punto è sorta in seguito al mio libro una vivace discussione,nella quale la mia posizione fu contrassegnata semplicemente come difesa del platonismo.

In ambedue le appendici alla sesta edizione ho cercato di prendere posizione in modo dettagliato riguardo a simile discussione e ho pure ravvisato in modo riconoscente le riprese e le conciliazioni che ne derivavano, arricchendo con ciò il nostro pensiero circa le “ultime cose”. (..)

Non vorrei ancora una volta intercettare qui l’intera controversia, anche se desidero ribadire ancora una volta quale era e qual è tuttora per me la cosa più importante.

Innanzitutto non è una questione di concettualità o di “platonismo” ma di una concezione strettamente teo-logica della nostra vita oltre la morte – della nostra “vita eterna”, nel senso dell’insegnamento di Gesù.
Noi viviamo dunque poiché siamo associati alla memoria del Signore. Nella memoria del Signore noi non siamo un’ombra, un semplice “ricordo”, stare nella memoria del Signore significa “esserci”; vivere, vivere in pienezza, essere del tutto noi stessi.
(…)
Roma – Festa di Tutti i Santi 2006 – Joseph Ratzinger – Benedetto XVI


“La mia opera meglio riuscita”, ebbe a dire Ratzinger, e chi ha letto il testo non può che fargli da eco soprattutto per la capacità che egli ha avuto di denunciare un così grave decadimento teologico e dottrinale interno alla Chiesa, a riguardo dell’anima. Prima di affrontare il capitolo in questione, suggeriamo anche di tenere a mente l’Udienza generale di Benedetto XVI del 12 novembre 2008 in cui spiegò l’escatologia e la parusia in San Paolo.


dal Cap. V — Immortalità dell’anima e resurrezione dei morti
1. La problematica
L’interrogativo che negli ultimi decenni è sorto nella tematica dell’immortalità dell’anima e della risurrezione, trasformando gradualmente l’intero panorama della teologia e della religiosità, non potrebbe essere formulato più sinteticamente e più drammaticamente di quanto lo ha fatto Oscar Cullmann, il quale si è espresso come segue: “Domandate a un cristiano, protestante o cattolico, intellettuale o no, che cosa insegni il Nuovo Testamento sulla sorte individuale dell’uomo dopo la morte, e, salvo pochissime eccezioni, avrete sempre la stessa risposta: l’immortalità dell’anima. Eppure questa opinione, per diffusa che sia, è uno dei più gravi fraintendimenti che riguardano il cristianesimo” (Unsterblichkeit, p.19).

Ebbene, oramai soltanto ben pochi azzarderebbero questa risposta allora ovvia, poichè l’opinione che essa sia un malinteso si è diffusa con sorprendente rapidità tra le comunità cristiane, senza tuttavia che si fosse potuto sostituirla concretamente con una nuova risposta. Pionieri di questo nuovo atteggiamento furono i teologi protestanti Carl Stange (1870-1959) e Adolf schatter (1852-1938), ai quali aderì ampiamente Paul Althaus, con la sua “Eschatologie” pubblicata nel 1921 in 1° edizione.

0026-escatologia-ratzinger-3_55e2c8529be65Rifacendosi alla Bibbia e a Lutero, si rifiutava come dualismo platonico il concetto di una separazione nella morte tra il corpo e l’anima qual è presupposta nella dottrina dell’immortalità dell’anima e si affermava che l’unico insegnamento biblico è quello che l’uomo perisce nella morte “con corpo e anima” e che soltanto così si conserva il carattere di giudizio e della morte, di cui la Bibbia parla con estrema chiarezza. Di conseguenza, non sarebbe cristiano parlare dell’immortalità dell’anima, ma si dovrebbe parlare unicamente della risurrezione dell’uomo intero e contrapporre alla religiosità corrente del morire e alla sua escatologia del cielo l’unica prospettiva della speranza cristiana, cioè quella dell’ultimo giorno.

Nel 1950, Althaus tentò di apportare alcune rettifiche a questa tesi, che nel frattempo si stava diffondendo rapidamente, e obiettò che anche la Bibbia conosce lo schema “dualistico”, che anch’essa non conosce soltanto l’attesa dell’ultimo giorno, ma una sorta di9 speranza individuale in un cielo futuro. Egli cercò di dimostrare che questa opinione era stata pure condivisa da Lutero. “L’escatologia cristiana – così si esprimeva – non ha dunque da combattere l’immortalità come tale. Lo scandalo che recentemente abbiamo dato più volte con questo nostro atteggiamento non è lo scandalo dell’Evangelo” (Retraktationem, 256).
(Naturalmente Ratzinger non è d’accordo e tenta dei chiarimenti con una denuncia molto grave, ndr.)

Benché nelle discussioni d’allora avessero trovato larghi consensi, queste affermazioni non avrebbero assunto grande importanza per quanto riguarda la discussione successiva. L’opinione che parlare dell’anima non sia un discorso biblico, s’impone al punto che perfino il nuovo Missale Romanum del 1970 ha bandito il terminus “anima” dalla liturgia dei Defunti; parimenti esso è scomparso dal rituale della sepoltura…. (confermò in altro discorso il cardinale Ratzinger che della notizia all’epoca ne fu preoccupatamente “sconvolto”, da qui anche l’affermazione nell’intervista a Messori – Rapporto della fede – che una certa “protestantizzazione” della Chiesa non era una semplice favola o una esagerazione, ma una triste realtà, ndr).

Ma che cosa ha potuto rivoluzionare tanto rapidamente una tradizione, che fin dai tempi della Chiesa antica era radicata saldamente ed era stata sempre considerata centrale? L’apparente evidenza del pensiero biblico da sola non vi sarebbe certo stata sufficente. E’ presumibile che l’efficacia delle “nuove” argomentazioni sia derivata in notevole parte dal fatto che la concezione definita “biblica” dell’assoluta indivisibilità dell’uomo collima con la moderna antropologia naturalistica, la quale vede l’uomo unicamente come corpo e non vuole sapere nulla di un’anima che ne possa essere separata.

Ma la prima considerazione che ne consegue è la seguente: sebbene la rinuncia al concetto dell’immortalità dell’anima elimini un potenziale punto conflittuale tra la fede e il pensiero moderno, ciò non salva tuttavia la Bibbia, poichè per la coscienza moderna la via biblica sembra ancora molto meno percorribile. L’unità dell’uomo – e sta bene – ma chi sarebbe in grado, visti i dati odierni della scienza naturale, di immaginarsi una resurrezione del corpo? Una tale resurrezione supporrebbe una materialità radicalmente nuova, un cosmo fondamentalmente cambiato; il che sorpassa del tutto i limiti della nostra capacità intellettiva.
Pure la domanda che cosa avvenga in tal caso nel periodo che precede la “fine dei tempi” non può essere semplicemente ignorata. La spiegazione data da Lutero, di un “sonno dell’anima”, non è certo una risposta che possa convincere!
Ma se non esiste un’anima, se di conseguenza non vi può essere un “sonno”, sorge il problema, “chi” allora potrebbe essere risvegliato? Come si forma l’identità tra l’uomo precedente e l’uomo che, a quanto pare, dovrà essere ricreato dal niente? Pur non condividendo tal pensieri, respingere con sdegno simili domande “filosofiche” non contribuirebbe certamente a dare una spiegazione a tutto ciò.

0026-escatologia-ratzinger-4_55e2c9ded8a8bPer cui si comprese molto presto, che qui il solo biblicismo non porta innanzi. Senza “ermeneutica”, cioè senza accompagnare il dato biblico con la ragione, che, collegando sistematicamente i pensieri, può portare anche sotto l’aspetto linguistico ben oltre il dato biblico come tale, non si ottiene nulla.
Volendo ora prescindere da tentativi radicali, che intenderebbero risolvere il problema opponendosi a tutte le affermazioni “oggettivanti” e ammettendo soltanto interpretazioni “esistenziali”, possiamo dire che sono state tentate due vie: formulando un nuovo concetto del tempo e interpretando in modo nuovo la corporeità.

La prima sfera concettuale s’avvicina a quelle riflessioni che abbiamo incontrato precedentemente al cap.3, 1a, e che sono connesse alla questione dell’attesa e della fine imminente. Avevamo visto che si cerca di risolvere questo problema richiamando il fatto che la “fine del tempo” come tale non è più tempo, che quindi non indica una futura data del calendario, bensì è “non-tempo”, per cui trovandosi fuori della temporalità, è vicina a ogni tempo in modo uguale. Da questo concetto si trasse la facile conclusione che, essendo anche la morte un “uscire dal tempo”, essa conduca all’atemporalità.

Nell’area cattolica questi concetti assunsero importanza per la discussione sul dogma dell’Assunzione corporea di Maria nella gloria celeste.

Lo sconcertante dell’affermazione, che un essere umano – Maria – è già ora risorto corporalmente, equivale quasi alla provocazione di verificare comunque il rapporto tra la morte e il tempo e di riesaminare il carattere della corporeità umana. Se fosse possibile vedere nel dogma mariano un caso emblematico di ogni sorte umana si risolverebbero contemporaneamente due problemi:
da un lato si supererebbe lo scandalo ecumenico e intellettuale del dogma, dall’altro lato, quest’ultimo stesso avrebbe aiutato a correggere le precedenti idee circa l’immortalità e la risurrezione a favore di concezioni più bibliche e più moderne.

Sebbene negli scritti recenti si cercherebbero invano approfondimenti chiari e coerenti del nuovo concetto, si può tuttavia dire, che nel complesso si è imposta la tesi seguente: il tempo è una forma della vita fisica.

La morte significa uscire dal tempo e entrare nell’eternità, nel suo unico “oggi”. Di conseguenza, il problema dello “stadio intermedio” tra la morte e la risurrezione non è che un problema inconsistente. “Intermedio” esiste soltanto nella nostra ottica umana. In verità la “fine dei tempi” è atemporale; chi muore, entra nel presente dell’ultimo giorno, del giudizio, della risurrezione e della Parusia del Signore. Da qui la propagazione di un pensiero non cattolico: “Di conseguenza si può affermare, che la risurrezione avviene al momento stesso della morte e non soltanto nell’ultimo giorno”.

Questo concetto (“sbagliato”, come spiegherà più volte Ratzinger), che la risurrezione abbia luogo nel momento della morte, si è imposto al punto da essere accolto, con qualche clausola, pure in Hollandischen Katechismus, p. 525 (il fatidico Catechismo Olandese condannato da Paolo VI ma che purtroppo, per le linee morbide intraprese dal Vaticano II, non fu fatto ritirare ma correggere con delle Note aggiunte ai margini del testo): “L’esistenza dopo la morte è dunque già qualcosa come la risurrezione del nuovo corpo”. Il che significa: ciò che il dogma afferma di Maria vale per ogni uomo; a motivo dell’atemporalità che regna al di là della morte, per ogni uomo, morire vuol dire entrare nel cielo nuovo e nella terra nuova, entrare nella Parusia e nella risurrezione.

0026-escatologia-ratzinger-6_55e2ca6b64fe4Qui sorgono tuttavia due domande, di cui la prima è questa: non si tratta forse qui di una velata restaurazione della dottrina dell’immortalità che, dal punto di vista filosofico, si fonda su supposizioni un tantino avventate? Infatti qui si presume la risurrezione già per l’uomo appena morto, per l’uomo che sta per essere portato alla tomba. L’indivisibilità dell’uomo e il suo legame con la sua vita fisica appena spenta, quest’indivisibilità che era stata il punto di partenza della tesi, sembra ora non avere più alcuna importanza. Per cui leggiamo in Hollandischen Katechismus: “Il Signore vuole… dire, che qualcosa, il “proprio” dell’uomo non è il cadavere che rimane…”. In modo più incisivo si esprime Greshake: “La materia in se stessa (come atomo, molecola, organo…) è imperfetta… quando perciò nella morte si determina in modo definitivo la libertà dell’uomo, in questa sua concretizzazione e determinazione finale sono insieme cancellati definitivamente il corpo, il mondo e la storia di questa libertà…”

Sebbene simili pensieri possano essere sensati, ci domandiamo tuttavia, con quale diritto si possa parlare ancora di “corporeità” quando si nega, esplicitamente, ogni rapporto con la materia, alla quale si concede di partecipare all’eternità solo in quanto è stata un “momento estatico d’un esercizio umano di libertà”.

In ogni caso anche in questo modello il corpo è abbandonato alla morte, mentre contemporaneamente viene affermata una sopravvivenza dell’uomo. Per cui la confutazione del concetto dell’anima perde la sua credibilità, poichè implicitamente vi si ammette l’esistenza di una “realtà” personale, separata dal corpo, il che è esattamente quanto aveva voluto esprimere il concetto dell’anima. Riguardo al problema della corporeità e dell’esistenza dell’anima rimane dunque una strana mescolanza di concezioni, che non si può certo accettare come definitiva.

La seconda domanda riguarda la filosofia del tempo e della storia, la quale rappresenta la leva del tutto: è davvero soltanto così che esiste quell’alternativa al tempo fisico e al non-tempo che viene identificata con l’eternità? E’ logicamente possibile collocare l’uomo, il quale ha vissuto il periodo determinante della sua esistenza nel tempo, nella struttura della pura atemporalità? Può, pertanto, un’eternità che ha un inizio essere eternità? Non è, qualcosa che ha un inizio necessariamente non-eterno, temporale? Ma come negare che la resurrezione dell’uomo ha “un inizio”, cioè che avviene dopo la sua morte? Se lo negassimo, la logica ci costringerebbe a concepire l’uomo come già risorto nell’ambito dell’eternità che non ha inizio; il che significherebbe contraddire a ogni seria antropologia e cadere praticamente proprio in quel platonismo che intendiamo combattere.

Ora, G. Lohfink, un sostenitore della tesi della risurrezione “nella morte stessa”, ha notato nel frattempo gli inconvenienti or ora esposti e ha cercato di porvi rimedio, richiamando il concetto medievale dell’aevum, il quale (partendo dall’analisi dell’esistenza dell’angelo) tenta di descrivere il particolare rapporto tra il tempo e lo spirito. Lohfink opina che la morte non introduce nel “non-tempo”, bensì in un nuovo tipo di temporalità che è propria dello spirito creato… (..)

… con queste argomentazioni gli interrogativi precedenti non sono affatto eliminati… l’aevum fornisce qualche informazione, ma non dice assolutamente nulla sul fatto che si possa considerare come già compiuto l’insieme della storia.
Fa uno strano effetto che un esegeta sostenga, per motivare queste speculazioni, che per Gesù, “secondo l’interpretazione paleocristiana, la morte è seguita immediatamente dalla risurrezione dei morti” e che con ciò “è dato il modello reale dell’escatologia cristiana”, ma che “il cristianesimo (qui intende la Chiesa) si è dimenticato di applicarlo, oltre che a Gesù anche agli altri”.


0026-escatologia-ratzinger-5_55e2caf1087eaAnzitutto non si dovrebbe trascurare che il messaggio della “risurrezione al terzo giorno” evidenzia chiaramente una cesura tra la morte e la resurrezione; ma soprattutto è innegabile che da nessuna parte nell’annunzio paleocristiano la sorte di coloro che muoiono prima della Parusia risulta equiparata all’evento del tutto particolare della Resurrezione di Gesù, il quale consegue dalla posizione assolutamente unica e ineguagliabile che Gesù occupa nella storia della salvezza.

D’altronde occorre qui denunciare nuovamente un platonismo accentuato sotto un duplice aspetto: in primo luogo, in simili modelli il corpo viene privato definitivamente della speranza della salvezza e, in secondo luogo, con l’aevum l’ipostatizzazione della storia è minore rispetto alla teoria di Platone, soprattutto perchè manca di logica.

Può darsi che questa nostra esposizione sia riuscita un pochino troppo lunga. Tuttavia essa è necessaria di fronte al fatto che nella coscienza teologica queste teorie hanno trovato un’accoglienza pressoché unanime. Occorre far comprendere che questo consenso poggia su un terreno estremamente fragile. Un espediente ermeneutico tanto frammentario e complesso, pieno di crepe e di lacune, non potrà costituire una stabile base né per la teologia né per l’annunzio ed è in se stesso contraddittorio.


In altre occasioni, Ratzinger, userà gli stessi concetti qui esposti per dimostrare anche come queste teorie siano state utilizzate per inficiare la dottrina del Purgatorio: se l’uomo appena morto risorge, quando avrà modo di spurgare le pene che non ha terminato quando era in vita? E’ chiaro che così si vuole giungere ad eliminare i suffragi per i Defunti – se sono risorti a cosa serve suffragare l’anima? – e quel che ancora di più è grave, inficiare lo stesso Sacrificio della Messa la quale ha proprio come scopo la conversione dei viventi, essere Farmaco d’immortalità e suffragio per i Defunti. In definitiva, spiega Ratzinger, sostenere queste teorie è protestantizzare la dottrina cattolica, arrivare laddove voleva arrivare Lutero.

Provate a digitare su google.it immagini la parola “anima” o anime portate in cielo, vi accorgerete che non uscirà nulla di cattolico, nessuna immagine o immaginetta che possa ricondurre alla dottrina cattolica del termine anima, forse ne troverete una o due, non di più, difficilmente troverete la santa Messa quale supporto per le Anime dei Vivi e dei Defunti.

Anche questo è un dato significativo per comprendere come si è perduta l’identità cattolica e dei suoi termini specifici.

Sia lodato Gesù Cristo.
Sempre sia lodato.

https://cooperatores-veritatis.org/2012/11/02/ratzinger-la-parola-anima-non-cera-nel-nuovo-messale-romano/

Nessun commento:

Posta un commento